Il problema della viabilità preromana e romana
Se la strata de Sambuca, la via medievale che attraverso l'Appennino collegava Pistoia con Bologna, è ben documentata ed ancora in parte identificabile sul terreno, non altrettanto può dirsi della viabilità altomedievale, romana e preromana, che attraversava la valle della Limentra occidentale, per la quale abbiamo solo elementi indiziari. Per ricostruire una storia del territorio è però necessario indagare anche le età più antiche, nel tentativo di ricostruire quell'indispensabile rapporto di continuità tra le varie epoche e le vicende ad esse connesse.
È noto che fin dall'età protostorica la catena appenninica rappresento un ostacolo naturale per la penetrazione verso sud delle civiltà dell'Eneolitico e del Bronzo, che avevano trovato larga diffusione nella pianura padana, ma le cui testimonianze, salvo rare eccezioni, non superano verso sud la fascia delle formazioni terrazzate pedemontane. Anche se l'Appennino costituì quindi uno sbarramento per l'espansione verso sud delle protociviltà padane, non si può escludere del tutto l'esistenza di qualche itinerario che attraversasse la catena montuosa, se non altro per rapporti di carattere commerciale. Sembra infatti accertato che almeno durante l'età del bronzo le manifatture emiliane fossero rifornite dai centri minerari toscani. Sotto questo aspetto la presenza dei due villaggi enei nell'alta valle del Reno (Santa Maria di Villiana e Poggio della Gaggiola), gli unici che si trovino più a monte della fascia collinare dove si fermano le altre testimonianze coeve, potrebbe indicare un'arcaica direttrice di traffico attraverso le valli del Reno, Limentra, Ombrone.
In ogni caso, anche se queste vallate furono attraversate durante l'età del bronzo da carovane che alimentavano un primordiale interscambio tra le due regioni, non si stabilì attraverso di esse un diretto rapporto di carattere culturale. Infatti anche la civiltà villanoviana della prima età del ferro, documentata nella zona di Bologna attorno al IX secolo a.C., non influì direttamente sull'Etruria settentrionale, ma raggiunse il Lazio attraverso le regioni adriatiche. L'Etruria, solo più tardi interessata dagli influssi laziali, rimase così esclusa più a lungo dall'area culturale villanoviana. Alle tarde testimonianze di questa civiltà nell'Etruria, che non superano verso nord l'area urbana di Firenze, si sovrappose senza soluzione di continuità la fase più antica dell'arte etrusca, detta orientalizzante (VII secolo a.C.).
La documentata presenza degli Etruschi a nord dell'Arno, nella vallata dell'Ombrone-Bisenzio, ha fatto ritenere assai probabile una via etrusca dall'Etruria alla pianura padana attraverso le valli dell'Ombrone e del Reno. L'ipotesi di questa via, già sostenuta da Luisa Banti, ha trovato nuove serie conferme con le recenti scoperte di una stele e di due cippi funerari etruschi nel centro della città di Pistoia, databili tra la fine del VI e la metà del V secolo a.C., cioè proprio nel periodo in cui sorse il centro di Marzabotto per la fusione e la lavorazione del ferro. Non è del tutto improbabile che questa via etrusca abbia ricalcato una più antica pista dell'età del bronzo, alla quale si è accennato.
Maggiori, ma sempre incerte sono le notizie relative al periodo romano. E significativo che la prima notizia storica che sicuramente riguarda Pistoia sia connessa ad un problema di viabilità transappenninica. E noto infatti il passo nel quale Sallustio narra il tentativo di fuga di Catilina verso la Gallia «per aspre montagne, a marce forzate, nel territorio pistoiese». Senza voler qui riaprire la vexata quaestio della via seguita da Catilina, preme però rilevare che nel I secolo a.C. gli itinerari da Pistoia verso la pianura padana dovevano essere ben noti, se Quinto Metello Celere intuì subito il piano di fuga di Catilina e spostò rapidamente le truppe «al piede delle montagne ... là dove sarebbe dovuto passare per scendere in Gallia».
Del resto un secolo e mezzo prima l'Appennino pistoiese era stato superato dall'esercito di Annibale, che dagli accampamenti invernali della Trebbia si muoveva verso Arezzo. E' incerto il percorso montano, ma sulla testimonianza di Livio è ormai comunemente accolto l'attraversamento della pianura paludosa dell'Ombrone-Bisenzio prima che l'esercito cartaginese potesse accamparsi presso Fiesole: «dopo esser riuscito finalmente a venir fuori dalle paludi, pose l'accampamento sul primo terreno asciutto che trovò». Due sono i probabili itinerari appenninici, entrambi convergenti su Pistoia. Il primo muove da Bononia, capitale degli alleati Galli Boi, risalendo le valli del Reno e della Limentra. Il secondo, più ad occidente, è un tracciato che dalla zona di Modena attraversa il crinale sulla direttrice delle valli del Leo-Panaro e della Lima. Questa seconda ipotesi è stata avanzata anche in rapporto alla testimonianza di Cicerone, secondo la quale «tres viae sunt ad Mutinam».
Indipendentemente dalle scarse notizie che le fonti storiche possono fornire, l'esistenza di questi due itinerari attraverso l'Appennino pistoiese in epoca romana trova una conferma a posteriori nel fatto che le stesse direttrici siano state frequentate nell'alto Medioevo, quando, piuttosto che aprire nuove vie, si cercava generalmente di riparare e adattare l'antica rete stradale. In particolare la via della Limentra avrà una particolare importanza fin dai primi tempi dell'occupazione longobarda, nel quadro dello schieramento strategico che si venne a determinare nell'alto Appennino bolognese di fronte al limes bizantino.