L'occupazione longobarda
Nella prima fase della loro discesa in Italia, i Longobardi, dopo aver dilagato nella pianura padana senza incontrare una resistenza organizzata, entrarono nella Tuscia dove occuparono Lucca, attorno al 572. Per circa un ventennio la zona controllata dagli invasori rimase limitata alla Tuscia nord-occidentale fino alla linea del Montalbano ed al passo di Serravalle. Era questa una sorte di testa di ponte che, nonostante l'arroccamento bizantino dalla Tuscia nord-orientale fino a Perugia, consentiva ai Longobardi di controllare la via di espansione verso sud, in direzione di Spoleto.
Solo nell'ultimo decennio del secolo VI, quando Agilulfo nel 593 si mosse da Pavia con un poderoso esercito in direzione di Perugia, i Longobardi sfondarono la linea difensiva bizantina in Valdinievole ed occuparono la media valle dell'Arno, con le città di Pistoia, Fiesole e proseguendo poi per Perugia e Roma. I Bizantini, che non avevano forze disponibili per contrastare in campo aperto l'esercito nemico, si ritirarono sull'alto Appennino lungo una linea assai arretrata, difesa da una serie di fortificazioni fisse. Si realizzò così un nuovo limes a difesa della base strategica di Bologna, che dal Mugello raggiungeva il Frignano, attraverso le valli del Sambro, della Setta e la media valle del Reno.
Per fronteggiare questa nuova linea fortificata, i Longobardi fecero avanzare i loro gruppi armati di exercitales (o arimanni) in una fascia di territorio montano che sul versante tirrenico interessava l'alta valle del Bisenzio e sul versante adriatico le tre vallate della Limentra. Si costituì così una linea avanzata longobarda, alla distanza di una ventina di chilometri dai castelli del limes La base logistica di questo schieramento longobardo era la città di Pistoia, nella quale era stato istallato un gastaldo, così che anche i territori posti oltre il crinale furono compresi di fatto nella iudicaria pistoiese, sebbene mai, in precedenza, fossero stati soggetti a Pistoia.
All'epoca dell'occupazione longobarda questi territori montani erano abitati da una popolazione romana, ed in qualche caso anche pre-romana, ma ormai integrata nella cultura, nel diritto, nella lingua di Roma. Ne costituisce prova il fatto che, nei secoli successivi, fino all'XI-XII secolo, sono frequenti in queste zone le professioni di legge romana, oltre naturalmente quelle di legge longobarda, segno evidente della presenza di due gruppi etnici, per i quali non si era ancora verificata quell'integrazione che si può riscontrare invece in altre località, ed in particolare nella stessa città di Pistoia.
I gruppi arimannici stanziati nelle valli della Limentra svolsero il ruolo di scorte armate per oltre un secolo, fino a quando, sotto il regno di Liutprando, il fronte bizantino fu travolto ed attorno al 727 fu conquistata Bologna. Nell'alto Appennino i Bizantini dovettero allora abbandonare i castelli del limes per ripiegare su una linea più arretrata, mentre i Longobardi poterono ulteriormente avanzare, occupando quella sorta di terra di nessuno che per oltre un secolo aveva diviso i due schieramenti contrapposti. Anche in questi nuovi territori, compresi grosso modo fra il Sambro e la Limentra, furono stanziati nuovi gruppi arimannici, mentre la iudicaria pistoiese si estese di fatto all'intera zona compresa tra questi due corsi d'acqua.
Per la ricostruzione degli avvenimenti dei secoli VI-VIII, in mancanza di una congrua documentazione scritta, si deve necessariamente utilizzare una serie di elementi residuali. In particolare, l'espansione in queste zone transappenniniche del territorio soggetto al gastaldo di Pistoia è confermata da numerosi documenti notarili dei secoli Xl e XII, nei quali molte località tra il Sambro e la Limentra sono definite ancora «in iudicaria Pistoriensi», o più precisamente «in territorio Bononiense, iudicaria Pistoriensi». La punta più avanzata verso nord-est arrivava addirittura al villaggio di Brigola, oggi in prossimità del casello autostradale di Rioveggio.
Per una più precisa identificazione topografica degli stanziamenti arimannici soccorrono numerosi documenti pistoiesi dei secoli XI e XlI, nei quali sono ricordate consorterie di «Lambardi». Con questo termine erano indicati nella Tuscia i possessori di beni, già del fisco regio longobardo, che nel VI-VII secolo erano stati assegnati in godimento ai gruppi di exercitales, come «prestazione e base economica di un servizio militare stabile e localizzato». In generale l'uso di questo termine non implicava uno specifico e generalizzato riferimento alla stirpe, quanto piuttosto ad uno stato sociale che per effetto del vincolo di consorteria e del possesso delle terre, distingueva i Lambardi dagli altri abitanti del contado. In sostanza nei seco li XI e XII con il termine di «Lambardi» s'intese indicare i membri di una consorteria cui era pervenuto, a qualsiasi titolo, il possesso di terre fiscali, anticamente assegnate a gruppi di longobardi in armi.
Attraverso la documentata presenza dei Lambardi nel territorio in esame, è possibile quindi ricostruire una mappa degli stanziamenti dei gruppi arimannici, anche se ovviamente non senza incertezze e lacune. Le località così individuate per le vallate delle Limentre sono Sambuca, Torri e Stagno, che rappresentavano i punti forti del primo schieramento longobardo, direttamente contrapposti ai castelli bizantini delle valli del Sambro e del Reno; così come gli analoghi stanziamenti dell'alta val di Bisenzio (Coldilupo, Torricella, Castiglione) fronteggiavano il tratto del limes che attraversava il Mugello. Le consorterie dei Lambardi documentate in altre località più avanzate verso nord-est, come Ripoli, Vigo, Vimignano ed altre, devono essere riferite invece ad epoca successiva, quando il fronte bizantino era stato arretrato dopo la caduta di Bologna (727).
Verso la metà del secolo VIII, quando anche Ravenna, ultimo baluardo bizantino, fu conquistata da re Astolfo (751), la zona dell'alto Appennino perse ogni importanza politica e strategica, e di conseguenza ebbe termine la specifica funzione militare di questi stanziamenti. Gli eredi degli antichi exercitales continuarono però ad abitare queste vallate ed a godere in modo collettivo le terre in precedenza concesse dal demanio regio. In sostituzione dell'ormai cessato servizio militare, il fisco pretese, come normalmente avveniva, il pagamento di un tributo, in modo da mantenere senza possibilità di equivoci il carattere di demanialità delle terre.
Il territorio, che era stato soggetto al gastaldo di Pistoia, fu definito ancora per molti secoli come iudicaria Pistoriensis, anche se - tra il IX ed il X secolo - queste vallate passarono sotto la giurisdizione feudale di signori laici ed ecclesiastici: i conti di Pànico, gli Alberti di Mangona, il vescovo di Pistoia ed alcune famiglie nobili di stirpe longobarda, come i signori di Stagno.
Nella suddivisione feudale di questo vasto territorio avviata sotto i sovrani carolingi, una parte consistente fu assegnata al vescovo di Pistoia, del quale tra il X ed il XII secolo sono documentati due grandi possessi:
uno nelle alti valli tra il Sambro e il Brasimone, con centro amministrativo nella curtis di Camugnano; l'altro nella vallata della Limentra occidentale, con la curtis di Pavana. E' stata avanzata l'ipotesi che queste terre siano state assegnate in beneficio, tipico istituto dell'ordinamento franco, durante il regno di Lodovico II (849-875), quando sulla cattedra di Pistoia era un fedelissimo dignitario dell'imperatore, il vescovo Oschisi (85O-877).
Fin dai primi tempi dovettero sorgere seri contrasti tra le consorterie dei Lambardi ed il vescovo pistoiese, il quale, ormai investito dei diritti che erano stati del demanio regio, poteva pretendere il pagamento dei tributi per le terre concesse loro ab antiquo. Una parte di questi consorti, almeno quelli ancora coscienti della loro origine etnica, trovarono un punto di appoggio e di difesa nella famiglia dei signori di Stagno, della quale si riconobbero lontani consanguinei. Era questa una potente famiglia di origine longobarda, che anche nell'ambito della struttura feudale introdotta dai Carolingi aveva potuto mantenere autorità e prestigio. La sede era a Stagno, località sulla destra della Limentra orientale, che all'epoca del limes bizantino aveva rappresentato forse la punta avanzata dello schieramento longobardo. Lo status di signoria feudale della famiglia è confermato verso la fine del secolo X, quando era attivo Sigifredi del fu Alboino, dalla documentata esistenza di due suoi vassalli.
Il contrasto che era sorto tra i Lambardi ed il vescovo si trasformò così in uno scontro diretto tra le due signorie, quella laica di Stagno, da secoli radicata in queste vallate, e l'altra ecclesiastica e lontana. Per i terreni dell'alto bacino della Setta fu trovata un'intesa nel 1042 con un atto stipulato nella corte vescovile di Pavana, per il quale il vescovo Guido concesse in enfiteusi tutti i suoi beni posti tra l'alto Mugello ed il villaggio di Valle, sulla destra del Sambro, a tre consorti della stirpe di Stagno («ex progenie Stanise»), per un canone annuo molto elevato, di duecento soldi d'argento. Con questo atto venne riconosciuta una sorta di possesso perpetuo alla consorteria che aveva la sua base a Valle, tanto che nella bolla di Pasquale II del 14 novembre 1105 il feudo vescovile è ricordato come «terra in diocesi di Bologna che era stata concessa agli uomini di Valle».
Per quanto riguardava il possesso il contrasto era stato risolto con l'enfiteusi del 1042, ma la lontananza del dominus aveva in seguito favorito un allentamento dei vincoli fino al rifiuto del pagamento del canone annuo pattuito, tanto che il vescovo Ildibrando fu costretto a concludere una nuova transazione. Nel 1112, infatti, gli uomini di Valle, discendenti di coloro che avevano sottoscritto l'atto d'enfiteusi settanta anni prima, furono convocati a Pistoia per la redazione di un nuovo atto, mediante il quale Grimaldellus filius Ocdi de Valle, anche a nome degli altri consorti, si riconobbe debitore, per una parte dei beni, di un canone annuo poco più che simbolico di quattro soldi lucchesi. A quell'epoca le altre terre della stessa zona erano state suddivise tra diverse consorterie, con le quali il vescovo finì poi per perdere ogni contatto, tanto che nel memoriale che fece redigere attorno al 1132, lamentava che nessuno di essi pagava più i canoni pattuiti: «E molte altre sono le terre dalle quali non ricaviamo alcun tributo, come quelle in Casalecchio, in Ripoli, in Fabiana, in Selva Maggiore, in Montefredenti e presso il fiume Setta; e così dalle terre che detengono i figli di Riccardo e gli uomini di Lemogne e Prata».
Con il fallimentare bilancio del vecchio vescovo Ildibrando si concluse probabilmente il legame tra il vescovado pistoiese e le terre nelle lontane vallate della Setta e del Sambro. Anche se le successive bolle papali continuarono ad elencare tra le proprietà vescovili le terre in diocesi di Bologna e quasi certo che gli antichi enfiteuti o livellari acquistarono di fatto la piena proprietà delle terre, cessando di riconoscere i diritti del vescovo di Pistoia.