La rivolta degli abitanti del castello

Ultima modifica 7 maggio 2021

Nonostante l'atto formale del 1055, la situazione non rimase a lungo tranquilla, tanto che una trentina d'anni più tardi, il rappresentante della famiglia di Stagno, Sigifredi del fu Agichi, dovette sottoscrivere un nuovo atto con il quale personalmente garantiva a Pietro, vescovo di Pistoia, la torre ed il castello della Sambuca, offrendo addirittura in pegno tutti i beni che egli possedeva nei territori pistoiese, fiorentino e fiesolano, esclusi solo il castello e la corte di Treppio dove probabilmente aveva la dimora.

Un atto così impegnativo e rischioso non deve essere stato sottoscritto volontariamente, come pura manifestazione di liberalità. Probabilmente la promessa dei capifamiglia di garantire e difendere i diritti del vescovo non era stata rispettata, così che erano stati chiamati direttamente in causa i signori di Stagno, che già nell'atto del 1055 apparivano come patroni e garanti. Deve essere in ogni caso intervenuta un'autorità superiore per imporre a Sigifredi un impegno così formale; forse la stessa contessa Matilde, investita della soluzione della vertenza, così come si verificherà una ventina d'anni dopo, all'inizio del XlI secolo.

La garanzia sottoscritta da Sigifredi rappresentò solo un momento di tregua, ma non risolse il contrasto, ora aperto, ora latente tra il vescovo di Pistoia e gli abitanti del castello. Quale fosse il reale motivo di questa opposizione al vescovo non risulta dalla documentazione superstite, ma può essere ricercato in quel più generale movimento di riscatto delle comunità di villaggio dal proprio signore, che portò ad episodi di violenza e di occupazione di terre anche in altre zone dello stesso contado pistoiese. Si conoscono almeno due casi di terre dei conti Cadolingi occupate dagli uomini dei vicini villaggi, mentre altre terre vescovili erano state tolte con violenza al legittimo signore dagli uomini di Piuvica e di Casale.

A Sambuca la situazione raggiunse il punto di crisi nei primissimi anni del XII secolo, quando, con il vescovo Pietro vecchio ed ammalato, si determinò una sorta di vuoto di potere. Ci fu questa volta una vera e propria ribellione, tanto che gli stessi abitanti della Sambuca s'impossessarono con la forza del castello. La questione fu allora portata davanti al tribunale della contessa Matilde, la quale affidò al cardinale Bernardo il compito di esaminare i fatti e di pronunciare la sentenza. Il giudizio, tenuto nel settembre 1104 alla presenza della stessa contessa, di alti dignitari laici ed ecclesiastici e dei rappresentanti delle due parti, si concluse con il riconoscimento dei diritti del vescovo. La sentenza stabiliva che «il castello della Sambuca fosse reintegrato nel possesso della Chiesa pistoiese»

Davanti al tribunale di Bernardo, gli interessi del vescovo Pietro erano stati difesi da Bonetto, advocatus, Placito, causidicus e da un terzo personaggio di nome Raginiero, tutti e tre definiti come «Pistorienses», qualifica che sembra trascendere la semplice tutela dei diritti vescovili, per investire globalmente la rappresentanza dell'intera città, particolarmente interessata a mantenere sotto controllo l'importante castello di confine. La vacanza di fatto della cattedra vescovile aveva permesso ai tre Pistorienses di considerarsi nello stesso tempo rappresentanti tanto della città, quanto della Chiesa di Pistoia. E' questo il primo importante episodio nel quale dei semplici cittadini appaiono investiti della rappresentanza della città di Pistoia, senza l'intermediazione e la compresenza di altre autorità civili o religiose. Segno evidente di un fermento autonomistico che porterà nel giro di un anno alla nomina dei consoli, i primi magistrati del libero comune. Non è senza significato che tra i cinque consoli documentati nell'agosto del 1105, siano anche· Bonetto e Placito, che nel settembre dell'anno precedente avevano rappresentato la città nel giudizio per il castello della Sambuca.

Dopo la sentenza del cardinale Bernardo, la contessa Matilde aveva ufficialmente riconosciuto alla Chiesa pistoiese ed al suo vescovo i possessi della val di Limentra: «la corte di Pavana nel comitato Pistoiese con il castello della Sambuca edificato entro i confini della stessa corte». Alla conclusione di questa vicenda si fa esplicito riferimento nella bolla che il papa Pasquale II rilasciò a favore del nuovo vescovo Ildibrando, nel novembre del 1105, nella quale si ricorda appunto il giudizio del cardinale Bernardo, qualificato anche come vicario del papa. Identici riferimenti si trovano anche nelle altre bolle pontificie del secolo XII, che sono a noi pervenute, emesse da Innocenzo II, Celestino II, Anastasio IV, Urbano III.