Lo Statuto del 1291

Ultima modifica 7 maggio 2021

Come si è visto in precedenza, il particolare status della Sambuca, feudo vescovile sotto il protettorato del comune di Pistoia, aveva a lungo impedito agli uomini del castello di ottenere una pur limitata autonomia, che tutti gli altri comuni rurali del districtus pistoiese avevano già raggiunto agli inizi del Dugento. Solo dopo la pace del 1219, con la quale si concluse la guerra con Bologna, la Sambuca riuscì a costituirsi in comune rurale, ma sempre sotto il controllo della città di Pistoia, che si era riservata la nomina del podestà. Bisogna giungere alla fine del secolo XIII per trovare una radicale modifica dell'apparato politico-istituzionale della Sambuca, con il riconoscimento di una maggiore autonomia alle magistrature locali e con la redazione di uno statuto.

La prima stesura dello statuto risale al 1291, al tempo del podestà Bonvassallo Federighi, personaggio pistoiese di un certo rilievo, ben documentato per tutta la seconda metà del secolo XIII, e che trentacinque anni prima aveva ricoperto alla Sambuca lo stesso ufficio. Lo statuto fu poi «riordinato e rinnovato» nel 1340 e trascritto in un codice pergamenaceo giunto fino a noi, ed ora conservato nell'Archivio di Stato di Pistoia. Manca invece il testimone della prima stesura, così che oggi non è possibile conoscere con sicurezza quali rubriche appartengano alla redazione del 1291 e quali alle modifiche ed integrazioni del 1340. Pur con questa riserva di ordine cronologico, sarà utile, attraverso il dettato statutario, ricostruire nelle linee essenziali l'assetto istituzionale del comune tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo.

È in primo luogo da notare l'assoluta mancanza nel testo di qualsiasi esplicito riferimento al comune di Pistoia, che pure manteneva il diretto controllo politico e militare sulla Sambuca, nominando sia il «capitano della rocca», sia il podestà. Sembra di avvertire, anche in questa circostanza, la preoccupazione del comune di non rendere esplicita l'usurpazione dei poteri del vescovo, al quale anzi nella prima rubrica dello statuto venivano confermati, almeno formalmente, gli antichi diritti ed onori. Alcuni privilegi tipicamente feudali sono ricordati anche in altre rubriche: per esempio l'obbligo per la comunità di offrire ogni anno al vescovo le primizie della caccia: il primo capriolo, il capo o la spalla del primo orso, il capo o la spalla del primo cinghiale. Nonostante questi riconoscimenti formali, al vescovo non era però attribuita alcuna funzione giurisdizionale. Tutta l'autorità politica, amministrativa e giudiziaria era infatti concentrata nelle due magistrature: quella locale del regimen comunis e quella, imposta da Pistoia, del podestà.

Il regimen o regimentum era una sorta di consiglio generale, i cui membri erano scelti con un sistema di elezione indiretta. In un primo tempo, infatti, venivano designati gli «elettori», ai quali era delegato il compito di eleggere i componenti del consiglio. Dal confronto di queste rubriche, che si susseguono nello statuto senza un ordine sistematico, sembra che il regimen fosse composto da otto consiglieri e che rimanesse in carica un anno, con inizio dal 1°gennaio. L'ultimo impegno, prima della scadenza, era quello di far giurare al nuovo regimen il totale rispetto delle norme statutarie.

A questa magistratura, che naturalmente operava in collaborazione e sotto il controllo del podestà, erano affidate le più importanti funzioni amministrative e giudiziarie, per le quali operava collegialmente con decisioni prese sempre mediante votazione segreta. Tra gli impegni di carattere amministrativo, di notevole importanza era quello relativo alla viabilità. Il regimen doveva costantemente assicurare la transitabilità delle strade; così che era stabilito, tra l'altro, che nel mese di maggio, per riparare i danni provocati dalla stagione invernale, tutti gli abitanti del comune fossero chiamati a prestare gratuitamente la loro opera per tre giorni. Se questo rappresentava un onere non indifferente per la comunità, una corrispondente partita attiva era assicurata dalla riscossione del pedaggio, il cui servizio era appaltato dal regimen, dietro garanzia di una idonea fideiussione.

Anche l'amministrazione della giustizia criminale era di competenza del consiglio. Tra i compiti espressamente specificati dallo statuto erano quelli di catturare i «malfattori», con l'obbligo di pronunciare la sentenza, di assoluzione o di condanna, entro un mese dalla cattura. Il collegio giudicante non poteva condannare a suo arbitrio, salvo che per piccole pene pecuniarie. In ogni altro caso dovevano essere applicate le pene fissate dallo statuto, che potevano andare dalla multa di cinque soldi per chi avesse lavorato nei giorni festivi, fino al taglio del capo per il reo di omicidio. Per l'esercizio delle funzioni giudiziarie, il consiglio disponeva anche degli strumenti per incatenare i «malfattori» e per procedere su di essi alla tortura.

Nonostante questi ampi poteri riconosciuti dallo statuto al regimen, in realtà l'azione giudiziaria, almeno per i casi più gravi, era spesso esercitata dal podestà. Infatti una rubrica stabiliva che per garantire una «migliore» punizione dei delitti, il podestà poteva avocare a sé l'azione penale e «procedere d'ufficio» contro qualunque persona del comune che avesse commesso un reato.

La magistratura del podestà, sempre affidata ad un cittadino pistoiese, poteva in qualche caso essere alternata a quella dei consoli eletti tra gli abitanti della Sambuca. Infatti lo statuto prevedeva che, alla scadenza del mandato, il consiglio convocasse tutti gli uomini del comune «in publico arengo» per decidere se per il periodo successivo si preferisse il governo del podestà o dei consoli. La volontà espressa dalla maggior parte dell'assemblea popolare doveva essere rispettata. Quando veniva scelta la magistratura consolare, al posto degli otto membri del consueto regimen, venivano eletti quattro consoli e quattro consiglieri.

Queste rubriche offrono la precisa testimonianza di una sostanziale autonomia raggiunta dalla Sambuca, che poteva finalmente eleggere i suoi consoli, come già da almeno un secolo usavano fare gli altri comuni del districtus. Sarebbe interessante sapere se questa importante riforma sia da attribuire allo statuto del 1291 od alle integrazioni del 1340; ma allo stato attuale degli studi non vi sono elementi che possano confermare l'una o l'altra tesi.