Le Logge e l'Affresco del Millenario di Pavana
Affresco del Millenario alle Logge di Pavana
di Paolo Maiani
Parte sinistra
- Consegna del diploma di Ottone III al Vescovo
di Pistoia Antonino.
- Cino da Pistoia e Selvaggia Vergiolesi con sullo sfondo
il Castello della Sambuca
Parte destra
- Il Pontaccio sul Limentra di Sambuca: in primo piano personaggi ed arnesi della vita di Pàvana.
- Francesco Guccini con il bacino di Pàvana sullo sfondo.
misure superfici dipinte: m 5,80x2,40 (3,60 nelle lunette) - superficie totale parete: m 11x3,60
gli scritti che seguono: Maiani a Pàvana - Pàvana: mille anni di storia - Il prete e il pittore - Pàvana era là, Pàvana esisteva; sono tratti dalla pubblicazione Affresco del Millenario alle Logge di Pàvana di Paolo Maiani (v. Bibliografia)
da: Maiani a Pàvana di Ariela Caruso |
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Tutto è iniziato con una piccola frase, buttata lì quasi per caso, di Francesco Guccini: "lo sapete che Pavana nel '98 compirà mille anni?". Ci siamo guardati quasi non rendendoci conto di cosa Francesco parlasse. Poi si è fatto chiaro il significato. Si trattava di una cosa veramente importante per il nostro paese. Era il 1994, fu allora che sorse il comitato per i mille anni di Pavana, il cui presidente non poteva che essere Francesco. Formato da rappresentanti della Pro Loco e della rivista culturale Nuèter, si promise fin dall'inizio non solo l'organizzazione di una serie di manifestazioni di carattere culturale (come le piccole conferenze da noi chiamate "incontri Pavanesi") ma soprattutto creare qualche cosa che rimanesse tangibile a testimonianza di questo avvenimento. Poi un giorno si è presentato un signore: era Paolo Maiani. A noi, digiuni in materia di arte, era assolutamente sconosciuto. Documentandoci però sui suoi lavori ci siamo resi conto del valore e delle qualità artistiche di questo pittore. Questo signore leggendo "Croniche epafaniche" di Francesco Guccini, era rimasto colpito da Pàvana e dai personaggi descritti nel libro. Venuto a conoscenza del millennio, si è, semplicemente, offerto di eseguire un affresco. |
Pavana: mille anni di storia di Francesco Guccini |
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Un'altra occasione per parlare di Pàvana? sembra di sì, anche se mi pare di averne già parlato in lungo e in largo, di sopra e di sotto, tanto che certi miei amici, se il discorso cade sull'argomento, bofonchiano, si girano imbarazzati, cambiano discorso o hanno improvvisi inderogabili impegni da qualche altra parte. Eppure eccomi qua, forse a corto di argomenti, sicuro, come si dice d'avere già raschiato il barile. Conscio, però che di Pàvana bisogna parlare, se non altro per un senso di dovere-piacere nei confronti di tutti quelli che ci hanno preceduto, che come noi sono stati in questi luoghi, hanno visto lo stesso fiume, hanno camminato per gli stessi boschi. I nomi, tanti, ognuno ha i suoi e ce li metta, ognuno ha i suoi ricordi e li tiri fuori. Ecco, i ricordi: ma non solo quelli. Perchè Pàvana, se Dio vuole, ha anche un futuro, e forse proprio per questo, al di là dei ricordi e del passato, che noi conosciamo. Il nome Pàvana appare per la prima volta in un documento storico nel lontanissimo 25 febbraio 998. In quella data un diploma dell'imperatore Ottone III in favore del Vescovo Antonio conferma (se quindi conferma la località era certamente conosciuta da prima) alla mensa Vescovile di Pistoia tutte le cose e le proprietà che gli appartengono, tra le altre la seconda del'elenco si riferiva a "Villam de Pavano". Ma l'origine dell'insediamento è molto più antica: quasi certamente Pàavana (in dialetto Pavna) è toponismo etrusco, PAPNA, movente dal personale etrusco PAPA (al quale fa riscontro il personale latino PABA), più in ben noto suffisso di derivazione/proprietà -NA che ritroviamo in tanti polionimi etruschi (Fèlsina, Mùtina, ecc..). Il nome quindi indicherebbe un possesso fondiario. Non stupisca questo risalire indietro nel tempo. Pàvana, infatti, è situata in una condizione geografica molto particolare: è posta alla fine della vallata della Limentra di Sambuca, alla confluenza di questo fiume con il Reno, la dove i più alti contrafforti appenninici discendono montandosi in colline soleggiate ben adatte alla coltivazione. E' un posto quindi che si presta agli insediamenti e punto di passaggio obbligato per chi dall'Etruria voleva spostarsi attraverso le suddette vallate in direzione della pianura padana, dove a pochi chilometri sorgevano Misa e Felsina. |
Il prete e il pittore di Nicola Giuntoli |
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Spirito bizzarro, con sufficiente ingegno e poco giudizio(1) Don Lorenzo Magnanelli volle salutare la costruzione della via regia Leopolda, aperta al traffico 1l 1 settembre 1847, volgendo verso di essa la casa famiglia, in precedenza affacciata sulla strada per Pàvana di Sotto, a Cà dei Filippi.
Dopo la turbolenta avventura del maggio 1848, che lo vide ferito sul campo di Montanara nel giorno della disfatta dei volontari toscani, il parroco di Badi, indirizzò i propri ardori patriottici verso imprese più costruttive. |
Pàvana era là, Pàvana esisteva... di Paolo Maiani |
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..... e l'accarezzare la parete per le ultime velature, è come un passaggio obbligato, un tempo che sta per finire per qualcosa che si comincia a vivere...
Pensavo che queste riflessioni fossero le ultime dedicate al lavoro di Pàvana per ricordare i suoi mille anni; riflessioni parlate, non scritte; rivolte agli amici che hanno condiviso con me la nascita e la crescita di queste immagini. In fin dei conti cos'altro può aggiungere un pittore a quanto ha già raffigurato sotto quelle volte, dopo quasi due anni di lavoro? Dopo che gli altri hanno contribuito a lasciare un loro pensiero, esprimendo significati storici, religiosi storici e culturali, non solo sull'opera, ma anche sulla storia e sul "mondo" pavanese. Non vorrei sciupare tutto questo, non vorrei rovinare questa raccolta di pensieri dietro ai quali si cela stima e amicizia reciproca, nata sotto quelle Logge in un luogo al confine fra il bolognese e il pistoiese, fra l'Emilia e la Toscana.
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Già... forse però.., almeno questo potrei dirlo: la coincidenza (?) straordinaria per me (nato da madre bolognese e padre pistoiese) di lasciare un'opera proprio lì, "al confine". Dove sono ritornato a sentire antichi (per me) vocaboli, propri del linguaggio di mia madre e che avevo quasi dimenticato, sin da quell'autunno del '96, in cui con l'allora appena conosciuto amico Piero Balletti ho reso palpabili luoghi e persone conosciute nelle "Croniche" di Francesco Guccini. E fu a quel punto che un piccolo microcosmo si aprì, si rese più reale; capii che l'avventura iniziata non era solo un fatto pittorico, ma prendeva risvolti umani e personali. Forse potrei... anzi, dovrei dire anche questo. Un microcosmo intriso di umana comunicativa, fatto di professori di matematica, studiosi di piante e fiori; architetti col pallino del recupero di antiche linee e forme; antichi pastori che trasudano amore per la propria terra con la conoscenza millimetrica di ogni piega (monti compresi); cantautori (così comunemente conosciuti) tanto intrisi di storia e cultura ambientale da farti dimenticare (o quasi) trent'anni o più di... canzoni. Ma questo è un lavoro che dovrebbe farti riflettere, portarti a pensare, anche quando sei in solitudine davanti alla parete, e quindi, quasi inevitabilmente, ti accorgi che... Pàvana, Limentra, i boschi dell'Appennino, gli ambienti atipici di queste zone, sono stati e sono anche il canto di Guccini; che certe vallate e certi monti sono stati e sono la vita per Franco Casari; certe immagini e certe tradizioni sono linfa vitale per Renzo Zagnoni, come per Piero Balletti lo sono la flora e vegetazione; così come per Nicola Giuntoli, architetto che in una recente pubblicazione ebbe a dire: ..... il paesaggio occorre costruirlo dentro, poco a poco, per poterlo riconoscere nei valori oggettivi, come si ritrova un vero amico, ogni volta con la stessa gioia". Era il '97 quando Giuntoli scrisse questo pensiero. Non avrebbe probabilmente mai immaginato che un pittore se ne sarebbe (non so se degnamente) appropriato, in quanto riferimento portante e importante del mio lavoro. Parlando con lui, trovai una certa comunione di idee quando, riguardo ad un affresco eseguito in Veneto a soggetto religioso, ebbi a dire che "quel lavoro non doveva lasciare traccia... (leggi critici, esperti e soloni dell'arte, galleristi)... se non dentro me stesso. A Pàvana credo si sia ripetuta un po' la stessa cosa. E rifacendomi alle parole di Giuntoli è più naturale per me pensare a tutta la costruzione di "quel paesaggio scoperto piano, piano; attraverso attrezzi di lavoro e persone; architetture e simboli; colori e forme. |
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Attraverso queste sfaccettature, viste e riviste e rivisitate, ho cercato di rendere visibile la storia (con Ottone III e Antonino Vescovo), l'amore e la poesia (con Cino e Selvaggia); lo scorrere della vita (con i suoi paesaggi, le sue stagioni, i suoi attrezzi di lavoro e i suoi personaggi non a caso vicino allo scorrere del Limentra); l'osservare e trasmettere le proprie radici (e Francesco ne è portavoce non solo per quanto riguarda le immagini che lo precedono, ma anche per quello che non è stato possibile per me raffigurare: i rumori, i sapori, i profumi, le luci con le relative ombre, i silenzi della notte...). Il pittore può essere efficace e bravo quanto vuole, ma certe cose sono solo espressioni ed emozioni della propria presenza. La mia è stata come un attimo di respiro, e di conseguenza quanto ho realizzato verrà letto per quell'attimo, tanto lungo e intenso da lasciarti comunque una grossa... cicatrice. E si cancellano nella memoria le ore e ore degli studi, le giornate interminabili della preparazione dei cartoni, gli orari da stakanovista davanti alla parete. Dove ho messo le "pile scariche"...? Dove sei stanchezza...? Quando ho realizzato il ritratto a Mario Luzi, il poeta fiorentino condensò (come al suo solito) il suo commento in: "Finalmente, un ritratto in cui non solo mi ci vedo, ma soprattutto mi ci sento... Pàvana era là, Pàvana esisteva. |