Il Santuario di Santa Maria del Giglio

Ultima modifica 22 agosto 2022

Il Santuario di Santa Maria del Giglio a Sambuca
di Enrica Totti

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Il santuario di Santa Maria del Giglio ha una leggenda di fondazione che è stata pubblicata per la prima volta, almeno per quello che è dato sapere, in un piccolo opuscolo nel 1902 dal padre gesuita Raffaele Ballerini.1 Questa racconta di una bambina che veniva mandata dalla matrigna a far pascolare le pecore su un poggio chiamato ‘Collefiorito'. Ogni giorno la matrigna le dava una quantità di lana da filare mentre restava a guardia del gregge e se a sera il compito non era stato eseguito, la picchiava. La giovinetta, soprattutto con l'afa estiva, non riusciva a vincere il sonno e spesso si assopiva all'ombra di un albero, tralasciando così il compito affidatole. Un giorno si accorse che mentre dormiva qualcuno aveva filato per lei tutta la lana e contenta raccontò il fatto alla matrigna, la quale credendo di essere presa in giro la picchiò e le ordinò di non narrare ad altri la grossa fandonia. La cosa si ripeté per diversi giorni e la voce si sparse per la montagna. Un giorno, poi, la pastorella si accorse che a filare la lana era una donna bellissima, che finito il lavoro spariva. "Giunta a casa disse alla matrigna di aver scoperto chi l'aiutava e questo fu per lei un guaio perché fu trattata da pazza. Dopo qualche tempo anche il Parroco scorse la bella Signora e stupì, lo stupore però aumentò la mattina che trovò dipinta sulla nuda pietra l'Immagine della Vergine col Figlio. Si gridò subito al miracolo e il luogo divenne meta di pellegrini."

Non sappiamo, purtroppo, a quale secolo si riferisca questa leggenda; secondo il Ballerini sembrerebbe che già nel 1581, a Collefiorito, si venerasse un'immagine della Madonna intitolata del Giglio. Documenti scritti che confermino questa data non sono stati finora trovati né il Ballerini ci dice da dove avesse attinto per la sua ricerca. Fonti successive riconducono l'origine del Santuario al 1722 collegandola alla figura di Rosalia Ottari, una giovane donna bolognese che, cieca dalla nascita, volle essere accompagnata a visitare l'immagine della Madonna di Collefiorito poiché si diceva che invocata, spesso risanasse dal ‘male degli occhi'. Rosalia arrivò a piedi a Sambuca e quando si trovò a percorrere l'ultimo tratto di mulattiera la vista cominciò a rischiararsi fino a che, davanti all'immagine sacra, l'ebbe perfetta. Ottenuta la grazia, la giovane decise di costruire in quel luogo una piccola chiesa a custodia di quell'Immagine ed anche una piccola dimora per lei.

l'immagine della Vergine con Figlio posta sull'altare

Il popolo di Sambuca, pur mostrandosi generoso, non poteva sopportare i costi di questa costruzione e così lei partì per Pistoia alla ricerca di benefattori. Molte famiglie pistoiesi, prima tra tutte quella Forteguerri, aiutarono la Ottari che dimorò, fino e che non furono conclusi i lavori, presso il monastero di San Michele. Tornata a Sambuca altre due giovani del luogo, una della famiglia Bettini e l'altra di casa Lizzani, vollero condividere questa sua esperienza. La vita di queste tre donne era esemplare ma non avevano abito e così un frate cappuccino che si trovò a passare di lì pensò di aiutarle iscrivendole al Terz'Ordine di San Francesco. Questo loro modo di vivere fu approvato, poi, dal cardinale Prospero Lambertini, nel 1731. Questa data è importante perché segna ufficialmente l'approvazione della regola e l'esistenza del Santuario da parte della chiesa bolognese.2

Rosalia Ottari che prese il nome di suor Girolama morì a quarantacinque anni, nel 1743, e sembra che durante la sua vita abbia compiuto alcuni miracoli.

Fin dai primi tempi le suore di Sambuca ospitarono, in alcune ore del giorno, le bambine dei dintorni per istruirle nel leggere, nello scrivere, far di conto e nei principi della dottrina cristiana. Questa attività educativa ebbe all'inizio un carattere caritatevole, successivamente si strutturò e fu aperta una scuola. Parallelamente alla scuola per le esterne fu aperto un educandato per bambine provenienti da famiglie agiate e questa attività educativa divenne nel tempo così importante che l'esistenza del Santuario passò in secondo piano. Le educande entravano in conservatorio all'età di sei-sette anni ed uscivano a diciotto; le famiglie pagavano una retta che comprendeva l'insegnamento, il vitto e l'uso del letto composto dal piano, saccone, materasso e guanciale. Non erano comprese le spese di corredo e mantenimento completo di esso, la carta da scrivere, l'occorrente per il cucito ed il ricamo, le cure mediche e i medicinali.

All'inizio del ‘900 l'Istituto cominciò gradatamente a trasformarsi da luogo di educazione di giovani benestanti a luogo di accoglienza per bambine povere e prive di parenti in grado di assisterle ed educarle. Nel 1930 il Vescovo di Pistoia, nel timore che l'Istituto venisse laicizzato, propose alle suore Francescane dell'Immacolata di Firenze una fusione con quelle di Sambuca e incoraggiò la superiora a mandare al Conservatorio una suora con il diploma di maestra ed altre due per la direzione dell'educandato e per dare un nuovo andamento alla Comunità. Nonostante la buona volontà e l'impegno di tutti, alla fine degli anni Sessanta, il Conservatorio si trovò nell'impossibilità di poter ulteriormente ottemperare, per ragioni economiche, ai propri compiti e così si procedette alla sua trasformazione. Fu riscattato, nel 1966, dalle suore dell'Immacolata di Firenze che, come detto, di fatto già da trent'anni assolvevano ai compiti ed obblighi statutari del conservatorio. La somma ricavata fu destinata alla costituzione di un fondo fruttifero con il provento del quale si provvedeva al mantenimento, presso il conservatorio femminile S. Giovanni Battista di Pistoia, di una o più alunne del comune di Sambuca, meritevoli per profitto e condotta e che intendessero frequentare i corsi di istruzione media superiore.

L'aspetto attuale del Santuario è il frutto dell'imponente serie di lavori eseguiti negli anni 1848-1859; in quegli anni fu ingrandita la scuola e costruito ex novo l'appartamento del confessore. Anche l'oratorio subì importanti cambiamenti: fu ricostruita la facciata, abbattuta la soggetta che precedeva la porta maggiore ed al suo posto costruito un portico a tre archi ogivali che poggiano su pilastri con una fascia di pietra al di sopra degli archi, la volta a crociera ed il muro di bozze fino alla cornice del frontone triangolare.3 Anche sul retro la chiesa fu allargata con la costruzione di un coro e l' intervento rese necessario il taglio della roccia sulla quale era raffigurata la Madonna.

Nel 1859 fu acquistato a Livorno un organo che però, purtroppo, non fa più parte del patrimonio artistico della chiesa. Nel 1896 fu ricostruito il campanile attuale ed aggiunta una campana alle due già esistenti. Nell'agosto di quello stesso anno fu celebrata una cerimonia per l'incoronazione della Vergine e del Bambino con corone d'oro e di gemme, dono di un fedele per grazia ricevuta. Nel 1987 il dipinto della Madonna ha necessitato di un accurato restauro e in quegli anni anche il convento ha subito ulteriori interventi di ammodernamento.

giglio

Oggi le suore di Sambuca accolgono nella loro Casa alcune signore anziane ed offrono accoglienza a famiglie, gruppi di preghiera, religiosi o scout che desiderino trascorrere momenti di riflessione, di ricreazione e di riposo a contatto con una natura pressoché incontaminata.

1 BALLERINI R. Memoria storica del Santuario della Madonna del Giglio che si venera nella chiesa del conservatorio della Sambuca Pistoiese, Pistoia, Tip. Pacinotti &C., 1902.

2 Nel 1784 la parrocchia di S. Jacopo di Sambuca e quindi anche il Santuario passò sotto la diocesi di Pistoia. Fino a quel momento Sambuca visse una situazione particolare: politicamente faceva riferimento al Granducato di Toscana ma spiritualmente apparteneva alla diocesi bolognese.

3 G.P.BORGHI,R.ZAGNONI, "Il santuario e conservatorio di Santa Maria del Giglio della Sambuca:vicende storiche e pietà popolare (secoli XVIII-XIX)", in AA.VV., Gente e luoghi della Sambuca Pistoiese, Editoriale Nuèter, 1991, pag.75.