di Enrico Zarri in
"Le Valli della Sambuca"
Le grandi foreste situate all'estremo orientale dell'Appennino Pistoiese sono le più ricche dal punto di vista faunistico, grazie all'opera di introduzione, reintroduzione e ripopolamento degli ungulati effettuata dal Corpo Forestale dello Stato.
Parliamo subito del cinghiale, considerato da molti (e non a torto) un vero flagello per le nostre montagne. Occorre ricordare che un primo ripopolamento, tentato dall'Azienda di Stato per le Foreste Demaniali con esemplari importati dalla Maremma, falli miseramente: i cinghiali di razza maremmana sono infatti di piccola mole e sostanzialmente inadatti a popolare aree soggette ad un forte innevamento. Per la presenza infestante dei grossi cinghiali di provenienza centroeuropea e balcanica, spesso incrociati con il maiale domestico, dobbiamo quindi ringraziare cacciatori, associazioni venatorie ed in qualche caso anche Enti pubblici, colpevoli di ripetute quanto incaute immissioni.
Il cervo, estinto nell'area già alla fine del 1700, è stato reintrodotto dal Corpo Forestale dello Stato a partire dagli anni '50, così come il daino, il capriolo ed il muflone, ancora presenti con popolazioni più o meno vitali. Tutti i cervi dell'Appennino Pistoiese derivano da un nucleo di appena 7 esemplari di origine alpina, provenienti dalle Foreste Demaniali di Tarvisio. Dai primi cervi «fondatori», liberati all'Acquerino in due riprese (1958 e 1965) e forse anche da successive immissioni non perfettamente note, ha preso origine l'attuale popolazione che rappresenta uno dei tre nuclei più importanti della dorsale appenninica (insieme con quelli delle Foreste Casentinesi e del Parco Nazionale d'Abruzzo). Il cervo è oggi presente su un areale di almeno 65.000 ettari, fra le aree urbanizza te di Pistoia e Prato (a sud), il corso del Reno (a nord e ovest) fino a Sasso Marconi, il torrente Setta ed il corso del Bisenzio (ad est), comprendente tutto il territorio di Sambuca Pistoiese.
Nell'ambito dell'areale principale, si può riconoscere una zona di presenza pressoché costante durante tutto l'anno, che ha il suo epicentro nelle foreste dell'Acquerino; si verificano comunque degli spostamenti stagionali che, nel caso del versante toscano, sono relativamente brevi. Nel periodo primaverile ed estivo i cervi si mantengono a quote più alte: le femmine gravide raggiungono le aree di parto, dove si dedicano all'allattamento e alle cure parentali. Alla fine di agosto, i maschi adulti raggiungono le aree di riproduzione (sopra i 700 metri di quota), dando inizio alle varie manifestazioni legate agli amori (bramiti, scortecciamenti e marcature visive).
Da novembre a marzo, gran parte della popolazione scende a quote più basse, alla ricerca di nuove fonti alimentari. Alla fine dell'inverno, aumentano le esigenze energetiche sia per i maschi, che perdono i palchi e ne iniziano la ricostruzione, sia per le femmine, in avanzato stato di gravidanza; i rigori del clima portano inoltre ad un rapido esaurimento delle riserve adipose. La scarsa presenza di aree protette costringe i cervi a spostarsi a valle nelle ore notturne, mentre di giorno si rifugiano di nuovo nelle aree demaniali.
E' in questo periodo, subito prima della ripresa vegetativa, che si verificano i maggiori danni a carico dei boschi (scortecciamenti alimentari) e delle coltivazioni. Proprio in considerazione di questi danni, più evidenti nei periodi e nelle aree di massima concentrazione degli ungulati, si chiede da diversi anni un intervento per limitarne la popolazione: le associazioni venatorie, ma anche alcuni esponenti del Corpo Forestale dello Stato, sollecitano abbattimenti selettivi, visti come l'unico rimedio alle malefatte vere e presunte del cervo. Un recente studio della D.R.E.A.M. Italia chiarisce come «i soli interventi diretti sulla popolazione (p.e. di riduzione della consistenza) non siano in grado di risolvere da soli i problemi derivanti dall'impatto che comunque essa può avere sulla vegetazione e sulle coltivazioni»; si consiglia di impostare una gestione complessiva delle aree agricole e forestali tesa a prevenire i danni, proteggere le colture e migliorare la qualità degli ambienti boscati e con agricoltura marginale, in modo da aumentarne la capacità ricettiva. Lo stesso studio sottolinea che «l'eventuale prelievo del cervo non va visto in relazione alla presenza di una situazione di necessità per la conservazione della popolazione, sicuramente in grado di autoregolare la propria densità attraverso la colonizzazione di nuove aree», né «per apportare miglioramenti alla già elevata qualità della popolazione».
Una tale varietà e quantità di ungulati selvatici lascia ipotizzare, anche se mancano finora prove certe, la presenza nelle foreste della Sambuca del più affascinante e misterioso fra i predatori italiani: il lupo sembra infatti prediligere aree a densità umana limitata, con estese formazioni boschive e ricchezza d'acqua nonché, naturalmente, di possibili prede. D'altra parte, il lupo ha colonizzato negli ultimi anni gran parte dell'Appennino, e si prepara al grande balzo verso la catena alpina. L'espansione del suo areale è dovuta interamente a fattori naturali, legati alla capacità di dispersione della specie ed alla protezione accordatale a partire dagli anni '70, ed è stato più volte ribadito che nessun intervento di reintroduzione è mai stato effettuato in nessuna parte d'Italia: il rilascio di esemplari di lupo in natura sarebbe infatti un'operazione complessa, difficile e socialmente discutibile.
Nonostante ciò, si continua a favoleggiare di misteriosi e improbabili «lanci» di lupi (nonché di vipere, di rapaci ecc.) operati da altrettanto fantomatici «amanti della natura», di volta in volta individua ti negli ambientalisti, nel Corpo Forestale dello Stato e persino negli amministratori pubblici.
Di fronte a tali assurdità, possiamo soltanto appellarci al buon senso degli abitanti della montagna, affinché sgombrino il campo da voci e leggende che vengono diffuse ad arte da categorie fortemente sospette. Il lupo ed i grandi ungulati selvatici possono convivere in equilibrio negli ambienti forestali ben conservati del Comune di Sambuca Pistoiese, e costituire un elemento di promozione e valorizzazione turistica non indifferente, così come già avviene nei parchi nazionali ed in generale nelle aree protette. Si tratta di una risorsa ambientale, culturale ed economica da gestire responsabilmente e nell'interesse dell'intera collettività.