I sedimenti della storia
Tracce del passato
di Piero Balletti
in "Le Valli della Sambuca", 1999
Da due decenni risiedo nella Sambuca. Sospinto dall'amore e dalla curiosità per le cose naturali ho girato in lungo ed in largo i suoi monti e le sue valli. Il mio interesse è stato per molto tempo principalmente rivolto ad alberi, fiori, funghi, animali. Trovare una nuova specie vegetale, una orchidea rara, riconoscere una nuova specie fungina era per me motivo di gioia e soddisfazione. Ma nei vagabondaggi per i boschi, fuori dei sentieri, mi imbattevo spesso in figure e scritte incise su pietra, in ruderi di cui cercavo di indagare l'origine, in problematiche strutture che non sapevo interpretare o di cui non sapevo ipotizzare l'originaria funzione.
Emblematici a tal proposito alcuni muraglioni presenti sul versante sinistro della valle della Limentra di Sambuca, fra il Poggio Torraccia ed il Poggio La Croce. Muraglioni ad andamento rettilineo, alti un metro sul piano circostante, larghi due metri e più, estesi in lunghezza per decine di metri.
- Opere legate alla lavorazione dei campi, che in quella zona si spingevano in alto, terrazzamenti, recinti? La loro tipologia, la loro presenza in zona di crinale lo fa escludere.
- Strade? Una strada che corre lungo un ripido crinale per poi finire in un burrone? No di certo.
- Terrapieni costruiti per ammucchiarvi i sassi ricavati dal dissodamento dei campi? Quanto meno improbabile.
Oggi si è giunti a darne una interpretazione soddisfacente: l'affascinante ipotesi è proposta da Andrea Magno e Giovanni Millemaci nell'articolo Archeologia del territorio di Sambuca Pistoiese. (Articolo a fianco)
Quella che segue è una 'galleria' di foto di alcune di queste «tracce del passato», che costituiscono ora uno dei miei principali motivi di ricerca nel territorio di Sambuca, tracce che sono importanti per la ricostruzione di alcuni aspetti della storia del territorio e che meritano, ne sono convinto, l'interesse dell'escursionista curioso ed attento.
Abitato Medievale di Glozano
A sud-ovest della località di Cerreta, sulla sponda sinistra del Limentra orientale, circa 800 metri ad ovest del Ponte dei Rigoli, sono stati individuati i resti murari di almeno quattro edifici costruiti in opera a secco con pietre di arenaria di varia pezzatura. La ricerca di superficie ha consentito di recuperare numerosi frammenti di ceramica acroma pertinenti a vasellame da mensa (27 frr. di testo; 20 frr. di olla; un'ansa di boccale o di brocca). Rilevante è anche il rinvenimento di un monolite costituente la parte sommitale di una monofora con imbotte inclinato. La totale assenza di ceramiche invetriate ed ingobbiate, unitamente alla preponderanza di frammenti di testi e di olle, per mette di inquadrare cronologicamente l'abitato tra il X e l'XI secolo.
(da: Indagini geologiche nel territorio di Sambuca P.se - di A. Magno e G. Millemaci, Provincia di Pistoia, 2000)
I Muraglioni
Prà di Iacopino (Poggio La Croce): Nei pressi della sommità del Poggio La Croce sono visibili i resti di una struttura fortificata rivolta sul versante orientale del rilievo. Le mura, spesse fra 1,50 e 3 m, sono realizzate nella tecnica c.d. a sacco, con i paramenti interno ed esterno costruiti in opera a secco mediante l'utilizzo di scaglie rudimentali di arenaria di varie dimensioni, disposte su piani irregolari. Il riempimento è costituito da terra, mista a piccole pietre della medesima litologia. Sul lato meridionale del muraglione di cinta, sono stati individuati due contrafforti, l'uno di forma subtriangolare, l'altro subcircolare
Pra' di lacomino (Poggio La Croce) - I Riposini
Connesso alla struttura fortificata di Pra' di lacomino è un imponente muraglione difensivo che discende verso il fondovalle del Limentra di Sambuca lungo il crinale compreso tra i due bracci del Fosso di Paganino, fin quasi a raggiungere la località dei Riposini. Il muro è orientato grossomodo in senso ovest-nord-ovest/est-sud-est ed è rilevabile per una lunghezza complessiva di oltre 54 m, con un alzato di circa 1,20 m ed una larghezza compresa tra 2,14 e 2,50 m. La struttura è realizzata nella medesima tecnica della fortificazione del Pra' di lacomino
Lungo il versante orientale del Poggio Torraccia, sulla dorsale posta sulla sinistra del Fosso della Fornella, sono stati individuati i resti di un muraglione orientato in senso grossomodo est-sud-est/ovest-nord-ovest, lungo oltre 64 m, con un alzato di 1,10 m ed una larghezza di circa 2,30 m. Lungo il lato meridionale sono stati individuati due contrafforti di forma semiellissoidale, distanti fra loro circa 30 m. Le strutture sono analoghe per tecnica costruttiva e funzione a quelle dei Riposini.
(da: Indagini geologiche nel territorio di Sambuca P.se - di A. Magno e G. Millemaci, Provincia di Pistoia, 2000)
Il Sambucone
Quota 1069 a nord-est di Poggio Ca' di Marco:
Sul crinale compreso tra il Poggio Torraccia e il Poggio Ca' di Marco si trovano i resti di una torre d'avvistamento a pianta quadrata, racchiusa all'interno di un terrapieno difensivo del quale si conservano il lato occidentale e lo spigolo sud-occidentale. Questo è costituito da un paramento esterno realizzato in opera a secco con pietre di arenaria; misura attualmente m 5,45 (lato ovest) x 2,00 (lato sud). Della torre sono visibili le murature di fondazione, edificate con bozze di arenaria (in media m. 0,40x0,10) legate con malta e disposte in filari regolari. Tali murature circoscrivono un vano seminterrato di m. 2,80x2,48x2,77x2,50, elevato all'interno per un massimo di m 1,27 (spigolo sud-occidentale) e il cui pavimento è realizzato in cocciopesto. Quest'ultima particolarità permette di ipotizzare l'esistenza, sul fondo della torre, di una cisterna adibita alla raccolta delle acque piovane. Pochi metri ad est delle strutture descritte sono state rilevate ulteriori murature in pessimo stato di conservazione, forse pertinenti al terrapieno difensivo.
(da: Indagini geologiche nel territorio di Sambuca P.se - di A. Magno e G. Millemaci, Provincia di Pistoia, 2000)
Da questo punto inizia il tratto dell'antica Via Francesca della Sambuca recentemente recuperato fino a Pàvana quale per corso didattico. La strada, che attraversa e innerva tutta l'area che stiamo descrivendo, collegava Pistoia a Bologna e costituiva un'importante alternativa all'itinerario principale della Via Francigena, che valicava l'Appennino al monte Bardone (l'odierno Passo della Cisa).
Fino all'XI secolo la nostra strada, dopo aver superato il passo della Collina a quota 932, proseguiva lungo lo spartiacque fra la valle del Reno e quella del Limentra occidentale per discendere, dalla sella in prossimità di Pòsola, verso Castello di Sambuca, passando per Casale.
Nel corso dell'XI secolo la costruzione dell'ospitale di San Bartolomeo a Pratum Episcopi determinò lo spostamento del tracciato della via nel fondovalle del Limentra, dove alcuni guadi e qualche ponte consentivano il superamento del torrente. Riguadagnata la sponda sinistra al ponte Mezzano, l'odierno San Pellegrino al Cassero, risaliva poi al Castello, dove si ricongiungeva col più antico percorso.
La cura della strada e dei ponti, come pure la difesa ed il ricovero di pellegrini e viandanti, furono assicurati per alcuni secoli dai monaci agostiniani dello spedale di Prato al Vescovo. Ma già nel XII secolo la protezione del Comune di Pistoia si estendeva alla chiesa esistente in questa località: evidente mente il controllo del valico della Collina e della Valle del Limentra aveva un valore strategico per la sicurezza della città, contro le mire bolognesi.
Nei primi decenni del 1200 proprio l'area fra Sambuca e Pàvana fu teatro della guerra fra Pistoia e Bologna, che terminò con la pace di Viterbo. Con essa, seppure al prezzo della cessione di alcune località conquistate sul campo di battaglia, fu riconosciuto il dominio effettivo del Comune pistoiese su questo territorio, per quanto formalmente soggetto alla giurisdizione del vescovo.
Pistoia si riservò la nomina del podestà della Sambuca, costituitasi in comune rurale nel corso del XIII secolo e con un proprio statuto dal 1291, mantenendovi una guarnigione al comando di due capitani. Consolidò e rafforzò il sistema difensivo imperniato sul castello, restaurò la rocca, e forse costruì il Sambucone sulla cima del monte, per assicurare l'accesso e l'uscita dal borgo fortificato ed il soccorso in caso di necessità.
Negli anni scorsi nei resti della base di una torre di avvistamento, localizzati sul crinale nei pressi di Poggio Torraccia, sono emersi i segni di una cisterna per l'acqua piovana, rifornimento essenziale per la scorta di vedetta. Lo stesso sistema di approvvigionamento, ancora efficiente, è rinvenibile in un ovile poco distante, nei campi abbandonati che sovrastano Casa Sedoni, dove i muri a secco disegnano gli orti di un tempo, proteggendoli dalla tramontana. Altri ricoveri, altri fienili, oggi assediati dai rovi, documentano secoli di faticoso lavoro per sopravvivere su questi monti, al pari delle grandiose selve di castagni e dei seccatoi disseminati in esse.
Sul fiume, ma anche in luoghi impensati (sulla costa del monte intorno agli 800 metri s.l.m.), i resti di antichi mulini testimoniano l'uso della forza idraulica che oggi è rivolta alla produzione di energia elettrica. Infatti, l'elegante diga di Pàvana, con la sua struttura mista a gravità e ad archi multipli, anche se non ha più ai suoi piedi la centrale, minata nel 1944, continua ad assolvere al proprio ruolo di sbarramento ed accumulo delle acque del Limentra, quale componente del sistema idroelettrico imperniato sulle centrali poste a monte e a valle del bacino di Suviana. Una lunga galleria (m 2692) attraversa l'area di cui trattiamo e dallo sbarramento di Molino del Pallone convoglia le acque del fiume Reno nell'invaso di Pàvana; da qui una galleria ancor più lunga (m 2794) incanala quanto raccolto verso il lago di Suviana.
Alcuni dei ripidi fossi che dal crinale precipitano nel Limentra sono citati con lo stesso nome già nello statuto comunale del 1291, come limiti dei confini antichi e luoghi prostimati (riservati cioè all'uso comune): il fosso dell'Uncisa, quello di Camarcione e quello della Fornella. Quest'ultima denominazione rinvia ad una probabile antica fornace da calcina situata nella zona di Casa Sedoni.
Più in alto, un altro toponimo, Fornaciaccia, rimanda ad attività fusorie alimentate dall'abbondante massa legnosa fornita dai boschi dell'area; recenti ritrovamenti di pietre segnate dal fuoco in prossimità di un grande edificio rovinato confermano quest'antica attività sopravvissuta nei nomi dei luoghi e del corso d'acqua.
Una fitta rete di strade lastricate, alcune esemplari per sapienza costruttiva, innerva l'area collegando Sambuca e Pàvana ai piccoli borghi di costa, dei pianori e del fondovalle: Bubbiana, Cavanna, Pratopiano, Le Casette, Casa Bettini, Taviano.Lungo di esse molte edicole, testimonianza dei riferimenti della religiosità popolare; lavatoi e fontane di rustica bellezza, piccoli monumenti all'acqua, bene umile e prezioso. Tutti questi manufatti sono costruiti con la pietra arenaria, estratta un tempo da numerosi piccoli punti di escavazione prossimi ai centri abitati: di essi resta oggi, lungo il fosso dei Rovinacci, una grande cava, attiva fino a pochi decenni fa, raggiungibile dalla Via Francesca con una breve deviazione verso valle.
La pietra, lavorata più o meno finemente, è l'elemento costitutivo fondamentale di tutte le costruzioni della montagna sambucana. Nell'area di cui parliamo alcuni edifici emergono fra le costruzioni comuni, costituite dalle case e dagli annessi agricoli:
In primo luogo la torre entro la rocca, ma anche il cimitero costruito nel corso dell'800 utilizzando proprio le antiche fortificazioni come cave di prestito; nel camposanto una cappella privata in pietra squadrata con
ampia copertura di legno. E poi la grande chiesa castellana, strettamente legata, come svela l'intitolazione all'apostolo Giacomo, al fenomeno del pellegrinaggio medievale; la sua attuale configurazione, frutto di un complessivo rifacimento settecentesco che ha cancellato ogni traccia della originaria struttura romanica, è principalmente caratterizzata dagli altari in pietra serena, esempi eloquenti di alto artigianato.
Infine, intorno al santuario di Santa Maria del Giglio, che con serva l'immagine della Vergine dipinta su di un masso, fu eretto a partire dal 1722 un convento di suore e, successivamente, un conservatorio destinato all'educazione delle fanciulle. Era questo un segno di modernità al pari della nuova strada carrozzabile che alla metà del secolo scorso soppiantò le antiche mulattiere, rinverdendo il millenario ruolo di valico dell'Appennino proprio dell'area, sedimentatosi storicamente in vari tracciati e tipologie stradali, che oggi ci consentono di percorrere e visitare questo grande possibile museo della civiltà montanara.