Castello di Sambuca
di Nicola Giuntoli
in "Storie della Sambuca" 2001
Quasi nido d'aquila, poggiato sul fianco del monte, sorge il paeselIo di Sambuca: sopraccapo si leva il castello antichissimo, per la positura e le fortificazioni di cui era munito, nei tempi medioevali, quasi imprendibile.
Si sa oggi che il paese, posto a 736 m s.l.m., era interamente racchiuso da mura poste sull'orlo del precipizio; la via Francesca della Sambuca lo attraversava lungo il suo bordo inferiore, nel tratto compreso fra la "porta che viene di verso Pistoia" e "la porta che va a Bologna". Altre due cinte murarie concentriche inglobavano la piazza e la chiesa del castello (assai più piccola dell'attuale e diversamente orientata) ed infine, nella parte più elevata ed inaccessibile, la rocca e la torre alta oltre venti metri.
Oggi si possono osservare tracce di mura inglobate nelle opere di sostegno degli orti delle case della fila più in basso del paese e nella strutture della canonica e della chiesa, sul lato nord.
Più chiaro appare l'impianto della rocca, che conserva quasi interamente il tracciato della propria cinta: al suo interno i muri possenti della torre a pianta pentagonale sono ancora in grado di ricordare l'imponenza dell'antico fortilizio, nonostante sia rimasto solo un terzo dell'altezza dell'antico mastio.
La fronte che si affaccia sulla piazzola entro la rocca, con i resti della bifora e del sottostante vano ad arco acuto di accesso alla torre, è diventata oramai l'emblema di Sambuca.
Sotto la rocca si stende, come un'arca puntata sul Monte la Tosa, la Pieve a tre navate intitolata ai Santi Cristoforo e Jacopo. Frutto di radicali lavori di rifacimento ed ampliamento condotti a partire dalla fine del '600, racchiude arredi ed opere d'arte di pregio sotto il tetto sostenuto da capriate di legno vivacemente decorate. Gli altari, dalle linee sobrie ed eleganti, furono costruiti in pietra serena dal 1709 al 1762, anno al quale risale l'altare maggiore, che presenta ai lati due volute ripetute nei sostegni della mensa. Dietro di esso spicca una grande tela raffigurante una Crocefissione e santi risalente al XVII secolo. Sugli altari della navata di sinistra altri due dipinti del '600: i SS. Silvestro papa, Rocco e Sebastiano e S. Giovanni Battista e astanti.
Interessante una cornice settecentesca, in legno dorato e laccato, con i simboli della passione di Cristo rappresentati secondo i canoni dell'iconografia popolare, a contornare un crocifisso collocato su fondo stellato. Sempre nella navata destra, sopra il primo altare, è posta la tela più pregevole della chiesa: il Compianto sul Cristo morto che il recente restauro ha consentito di attribuire al pittore pistoiese Pietro Marchesini (1692-1757). Egli l'avrebbe dipinto negli anni 1722-23 copiando e rielaborando la parte superiore della pala che Guido Reni realizzò nel 1616 per la chiesa dei Mendicanti di Bologna. Ma l'immagine della Madonna fra due angeli, in atteggiamento di preghiera di fronte al corpo di Cristo disteso in primo piano, è qui più serrata rispetto al modello originale.
Le linee virtuali della composizione racchiudono entro un triangolo equilatero i personaggi principali e focalizzano l'attenzione dell'osservatore sul corpo cereo ed irrigidito dalla morte, al quale fa da contrappunto lo sguardo della madre rivolto al cielo.
Nella sacrestia uno stupendo mobile in legno di noce e di castagno, che porta incisa la data 1739, occupa un'intera parete. I lavori di restauro compiuti sulla chiesa e sui dipinti negli anni scorsi hanno restituito alla comunità sambucana il suo più prezioso monumento. L'accesso alla chiesa avviene attraverso un portale in pietra sotto al portico, costruito ai primi dell'Ottocento, dal quale si gode un bel panorama sulla valle.
Il campanile, eretto assieme alla "nuova" chiesa, diffonde attraverso le quattro bifore alla sua sommità il suono di tre campane: la più grande, collocata al centro della cella e dedicata a S.Jacopo, fu realizzata nel 1794 nella bottega di "Gio Batta Cari e fratelli" fonditori di Pistoia. Quella a nord, "Deo et 5. Antonio Patav. Dicata", è dovuta alla maestria del treppiese Sante Gualandi, che la realizzò nel 1816 nella sua fonderia di Prato, dove si era trasferito, e dove fuse due anni più tardi anche il campanone della Torre pendente di Pisa. La terza fu "rifusa a spese di diversi benefattori al tempo di Don Francesco Bartolozzi Pro Vicario Foraneo I A. D. MDCCCXXXVI I Terzo Rafanelli e figli fonditori in Pistoia".
Sul lato meridionale del campanile fu collocato, assai probabilmente durante la sua costruzione, il quadrante in pietra di un orologio da torre che riporta i segni consunti di sei numeri romani ed alcune iscrizioni non decifrate.
Anche la vasta canonica, edificata ai piedi della chiesa, assunse la forma attuale nel corso del XVIII secolo, stando alla data 1737 incisa su una pietra murata nella parete di ponente.
L'origine della costruzione è assai più antica, come testimonia il carattere medievale di un grande vano al livello della via Francesca: nel muro a filari di conci squadrati si apre una porta arcuata che conserva, integro, il cardine superiore della porta, realizzato in un blocco di pietra che sporge dal filo della muratura. Questi elementi sono emersi in occasione dei lavori, tuttora in corso, per realizzare nell'edificio un ostello, un bivacco per escursionisti ed una trattoria, oltre al punto informativo dell'Ecomuseo della Montagna Pistoiese, che individua nel Comune di Sambuca Pistoiese l'itinerario tematico della pietra. Ma anche nelle attuali cantine di altre case del paese si trovano muri di simile fattura e porte con arco a tutto sesto in conci regolari.
Fin dalla sua origine, la parte più bassa del castello è stata sicuramente riservata alle abitazioni, disposte su file parallele scalate fra loro e ben esposte al sole, sopra gli orti terrazzati che fiancheggiano il tratto meridionale delle mura. Strette e ripide, le strade lastricate di pietra si arrampicano fra le case, fino alla piazza alberata sul fianco della chiesa dove una scritta sbiadita indica una vecchia macelleria, della quale è rimasto soltanto, dietro la porta ormai chiusa, parte del banco realizzato in muratura.
Il paese, che si anima in estate e nei fine settimana, è oggi abitato da poche persone, alcune delle quali hanno visto chiudere via via la stessa macelleria, le botteghe di generi alimentari, la rivendita di sale e tabacchi, il forno, l'ufficio postale. Lo spopolamento, che a partire dalla fine della seconda guerra mondiale ha colpito la montagna, si è fatto sentire ancor più nei paesi e nelle zone più inaccessibili. Ed i servizi, come gli abitanti, si sono spostati nei paesi del fondovalle, intorno alle strade principali, quando non hanno abbandonato del tutto il Comune.
Anche l'edificio che dal 1848 al 1867 ospitò la Pretura è stato trasformato in abitazioni stagionali e, successivamente, alienato. Sede comunale fino a quando il municipio non fu trasferito a Pavana, servì anche, nei primi decenni del '900, per la scuola maschile. Nel 1936 il Comune la concesse in affitto per 29 anni alla compagnia filodrammatica I Fiorenti del Dopolavoro di S. Cecilia di Firenze, che vi ricavò una saletta con proscenio per le proprie rappresentazioni. Quale segno di un illustre passato resta soltanto un portale ed uno stemma di pietra, riproducente un suino.
Lì vicino, al centro degli edifici della parte più bassa del paese, al numero civico 18, c'è una grande casa che in facciata presenta le caratteristiche architettoniche di un villino urbano; davanti ad esso la strada ha l'aspetto di una gradinata con andamento curvo in pietre ben squadrate. Sopra la porta di ingresso, ad arco, è murata una targa con su scritto:
PIETRO BETTINI
FF L'ANNO 1879.
Era questi un falegname, nato il 1° dicembre 1849 da famiglia operaia residente a Ca' dei Bettini, piccola borgata presso Pratopiano, pochi chilometri a nord del Castello.
Pietro era il maggiore dei maschi e fondandosi sulla conoscenza non teorica ma sperimentale, che aveva dei legnami e della carbonizzazione, si dette al commercio dei legnami e del carbone, scegliendosi come campo per esercitarlo, la Sardegna, pratico come era del paese e delle persone. Sagace e ponderato per indole, riflessivo per abitudine, riuscì assai bene nelle imprese assunte e prosperarono i suoi interessi.
La casa è ancora buon testimone del successo sociale del suo fondatore che di lì a poco fu eletto Sindaco (1880-1890). L'amministrazione pubblica, diretta da lui migliorò d'assai... Anche delle scuole paesane ebbe massima cura e non vi fu frazione dell'alpestre Comune, in cui non fosse provveduto alla elementare istruzione, nel miglior modo che si potesse.
Il servizio reso alla propria comunità gli valse la Croce di Cavaliere della Corona d'Italia. Morì, poco più che cinquantenne, il 2 dicembre 1902 e riposa nel cimitero paesano entro una splendida cappella in pietra finemente scalpellata.
Non lontano dalla "casa del Sindaco" ci imbattiamo nella fontana pubblica del paese, collocata entro un'ampia nicchia voltata, fra due panche di pietra che invitano a sostare per godersi il refrigerio dell'acqua e dell'ombra.
Accanto c'è un tabellone multicolore, incorniciato con legno di castagno, a segnare il punto di arrivo del percorso didattico Via Francesca della Sambuca, che interessa il tratto dell'antica strada medievale fra Pavana ed il Castello. Imboccandolo si attraversano boschi e castagneti, ma anche piccoli prati e campicelli terrazzati, si superano a guado ripidi fossi, si incontrano fonti, piccoli borghi e annessi rurali, si scoprono squarci panoramici. La strada per buona parte conserva il fondo lastricato, interrotto da "sciacqui" che incanalano le acque piovane ruscellanti, ed è sostenuta da imponenti muri quando attraversa le pendici più ripide; lungo di essa alcuni cartelli discreti informano sulla direzione di marcia e su quanto li circonda. Una piccola deviazione porta alla cava dei Rovinacci, fino a pochi anni fa utilizzata per l'estrazione di pietre da costruzione, e dove è possibile osservare, impresso sugli strati di arenaria, il calco dei fondali marini sui quali si sedimentarono.
La fontana, costruita dai "castellani" nel 1885, ha lo scarico della pila collegato con il lavatoio pubblico posto poco distante; l'acqua versata e non utilizzata così non viene dispersa e, prima di defluire verso il Fosso di Formelancia, si presta ad un altro servizio. La preziosità dell'acqua in un tale contesto è testimoniata dalla diffusione di cisterne per la raccolta di quella piovana, che costituiva la fonte di approvvigiona mento più semplice, ma meno certa, fino a quando l'acquedotto pubblico non convogliò verso il Castello quella di alcune sorgenti lontane.
Oggi il lavatoio è quasi invisibile per chi giunge in paese. Infatti la strada carrozzabile, che da Bellavalle raggiunse Castello solo intorno agli anni '60 del Novecento, termina proprio sopra il portico voltato che ripara la vasca dell'acqua e chi la utilizza. Un tempo, invece, la strada proveniente dal Convento delle Suore Francescane dell'Immacolata presso il Santuario di Santa Maria del Giglio, arrivava davanti al lavatoio. Lungo di essa sorgevano le edicole di pietra entro le quali erano poste le stazioni della "Via Crucis":
della strada non restano oggi che poche tracce e sono visibili solo i resti della sesta stazione, la "Veronica", sufficienti a dare un'idea della semplice magnificenza dell'itinerario. Tutte le altre edicole forse giacciono sepolte sotto le scarpate della nuova strada.
Posto all'ingresso del paese il lavatoio era, forse, una sorta di "ufficio informazioni" per chi giungeva al Castello di Sambuca e, per i suoi abitanti, un punto di osservazione e di "controllo". Su di esso converge, infatti, anche la strada mulattiera che, passando per Casale e Posola, porta al passo della Collina seguendo il più antico itinerario di crinale.
Seduti sotto i tigli che hanno attecchito sulla poca terra che ricopre il lavatoio, prima di riprendere il cammino per lasciare il paese, si può godere il panorama della valle e osservare con distacco, sotto di noi, il movimento dei mezzi sulla strada statale, il cui rombo attutito è "assorbito" dai suoni del bosco e dalla "voce" del vento.
Alle nostre spalle sta, imponente, il muro di sostegno del cimitero, posto nel punto più alto di Castello di Sambuca, di fronte alla Rocca, dalla quale lo separa un prato in declivio ombreggiato da una vecchia quercia.
Venuta meno la funzione militare per cui era stata costruita, la terrificante torre fornì il materiale necessario per la costruzione degli alti contrafforti, raccordati da archi a tutto sesto, culminanti nel recinto del camposanto, luogo della memoria e della pietà civica.
Lasciato il paese, una volta giunti nel piazzale davanti al Santuario di Santa Maria del Giglio, da dove una bella mulattiera svolge le sue spire di pietra sul costone che precipita verso Taviano, lo sguardo può abbracciare per intero Castello di Sambuca e scorrere lungo il suo profilo stagliato contro il cielo e la montagna: dalle case più in basso alla canonica, poi alla chiesa in tutta la sua lunghezza; il guizzo verticale del campanile ed il moncone poderoso della Rocca; per distendersi, infine, sulla spianata del cimitero incoronata di cipressi, fino alla sagoma armoniosa della cappella Bettini, sul margine del bosco che dilaga d'intorno.