La Badia a Taona

Ultima modifica 7 maggio 2021

Abbazia di San Salvatore della Fontana Taona
di Renzo Zagnoni
in: "Il Romanico Appenninico" - di Antolopi, Homes, Zagnoni
Gruppo di Studi Alta Valle del Reno - Porretta Terme 2000

badia Si trova a poca distanza dal crinale spartiacque appenninico, che in questa zona separa le valli delle tre Limentre da quelle meridionali dell'Agna e della Bure, a metri 1091 s.l.m. A poca distanza si trovano le sorgenti della Limentra Orientale, di quella Occidentale e della Limentrella e la zona è ancor oggi impervia e spopolata; molto di più dovette esserlo nel Medioevo, cosicché la presenza del monastero in quei secoli appare oltremodo importante soprattutto per motivi legati alla viabilità ed al controllo del territorio.

Si raggiunge sia dalla zona Treppio-Torri-Fossato salendo fino all'Acquerino e deviando poi a

destra verso il passo della Collina, sia dalla statale Porrettana prendendo la strada poco a valle del passo nel versante meridionale. I ruderi dell'abbazia sono oggi di proprietà privata ed appartengono all'avvocato Giorgio Lombardi, uno dei sostenitori del presente volume.

Una ipotesi sull'origine del toponimo della fontana detta Taona, lo farebbe derivare dal monaco Tao che dopo aver fondato il grande monastero di Sant'Antimo nel Senese e quello pistoiese di San Tommaso, fra VIII e IX secolo avrebbe anche costruito un romitorio presso la sorgente, ancor oggi esistente, che avrebbe preso il suo nome. In ogni caso la prima documentazione diretta risale ai primissimi anni del secolo XI, il 1004 o 1005 a seconda della datazione del documento; si tratta della donazione al monastero da parte del marchese Bonifacio di tre ampi possessi: il caphadio definito bonifacingo, assieme ad altri beni a Staggiano e Baggio tutti posti nel versante meridionale dell'Appennino. Si trattava sicuramente di beni del dominio imperiale come risulta dalla conferme di Enrico II del 1014 e di Corrado II del 1026. Quest'ultimo ampliò la donazione del marchese con il vasto territorio montano su cui era situata l'abbazia, compreso pressappoco fra l'odierno paese di Sammommè e la via della Collina ad occidente e Lentola ad oriente. Risulta evidente che il potere politico si interessò dell'abbazia fin dalla sua fondazione e la beneficò con cospicue donazioni di beni appartenenti alla corona, poiché essa svolse una fondamentale funzione di controllo del territorio e dell'area di strada che risaliva le ripide valli pistoiesi per raggiungere il crinale e proseguire verso nord attraverso la Limentra Orientale. Si tratta di una tendenza tipica del mondo pre-comunale signorile, in cui il controllo delle vie di comunicazione e l'esercizio dell'ospitalità venivano esercitati dagli enti religiosi in una sorta di delega da parte del potere politico.

San Salvatore fu dunque un'abbazia regia che sembra appartenesse al monastero di San Giovanni di Parma, come risulta dal diploma di Corrado II del 1037 in cui è esplicitamente menzionata. La tradizione storica la assegnerebbe alle sue origini ai benedettini cluniacensi, anche se non abbiamo alcuna documentazione che ce lo confermi. E certo invece che nella seconda metà del secolo XI, verso il 1070, passò alla riforma vallombrosana; il monastero è infatti citato nella bolla di papa Urbano II del 1090 fra le dipendenze dell'abbazia di Vallombrosa.

Proprio questa appartenenza fece sì che i vescovi bolognesi favorissero in ripetute occasioni l'abbazia, sembra proprio al fine di utilizzare i monaci vallombrosani della Fontana Taona per imporre la riforma ecclesiastica anche nella montagna bolognese:
come vedremo il vescovo Vittore donerà nel 1118 all'abbazia la chiesa di San Michele di Bombiana, mentre fin dal 1082 il vescovo Lamberto aveva imposto a due uomini di Badi di donare ad essa le decime di certi loro possedimenti posti a Casio, donazione confermata nel 1137 dal vescovo Enrico.

badia1 Anche Matilde di Canossa beneficiò abbondantemente il monastero con tre successive donazioni una delle quali, quella del 1098, riguarda una delle dipendenze più importanti: l'ospitale di San Michele di Bombiana detto anche della Corte presso il Reno, molto probabilmente situato in quella valle fra Silla e Marano. Si trattò di un'istituzione ospitaliera fondamentale per l'area di strada del Reno, che fu anch'essa oggetto dell'attenzione del potere politico: in particolare nel 1118 l'imperatore Enrico II emise il banno a favore di essa e nello stesso anno il vescovo di Bologna Vittore donò all'abbazia anche la chiesa di San Michele annessa all'ospitale.

A questi consistenti e vasti possedimenti si aggiunsero le donazioni dei conti Guidi e della stirpe degli Stagnesi, oltre a moltissimi possessi pervenuti tramite testamenti e conversioni. In questo modo il patrimonio fondiario si estese notevolmente soprattutto nel secolo XII tanto da raggiungere a sud Montemurlo e Masiano nella piana pistoiese ed a nord Montecavalloro, Lissano e Savignano nella valle del Reno presso Vergato.

Un'attività di grande importanza per questa abbazia fu l'esercizio dell'ospitalità gratuita per i poveri e i pellegrini imposta dalla regola di San Benedetto che la congregazione vallombrosana tendeva ad applicare alla lettera ed in modo rigido. Per questo ebbe alle sue dipendenze vari ospitali

come quello che si trovava presso il monastero ed è documentato dal 1082, quello già ricordato di San Michele di Bombiana, quello di Memoreto donato all'abbazia da Bonuto arciprete della cattedrale pistoiese ed ubicato non lontano dalla città presso la chiesa di San Pietro Maggiore ed infine quello di Sant'Ilario di Badi acquisito nel 1175 per permuta dall'abbazia di San Salvatore in Agna.

L'influenza dell'abbazia si esercitò in particolare sulla valle della Limentra Orientale alla cui testata e presso la posizione di valico si trovava il monastero. Nella parte media della valle la Fontana Taona ottenne la chiesa ed annessi di Sant'Ilario definito del Gaggio o di Badi, dove si stanziò una piccola comunità monastica e dove si esercitò l'ospitalità. Poco più a nord, come abbiamo già detto, l'abbazia possedette le decime del vico di Casio. Infine allo sbocco in Reno nei pressi del moderno abitato di Riola l'abbazia controllò il ponte sulla Limentra ad uno dei cui capi alla fine del secolo XII è documentata una casa appartenente al monastero ed abitata da un converso: come si vede si tratta di una presenza consistente e continua dal crinale spartiacque fino allo sbocco della Limentra nella valle del Reno.

Nella seconda metà del secolo XIV aumentò notevolmente la decadenza che si era già manifestata fra Due e Trecento. Nell'ultimo quarto del secolo, anche a causa delle guerre che avevano infestato la montagna nel corso del Trecento, la comunità dei monaci, ridotta enormemente di numero, si trasferì a Pistoia presso il monastero vallombrosano di San Michele in Forcole a cui fu unita l'abbazia. Una visita pastorale del 1370 ricorda come in quell'anno il monastero fosse distrutto ed inabitabile a causa delle guerre, tanto che già a quel tempo non vi si trovava nessuna abitazione ma solo il corpo della chiesa. A quel tempo monaci erano ridotti ad uno solo! che risiedeva a Pistoia; una visita pastorale dell'abate vallombrosano ci informa che costui oramai viveva allo stesso modo dei laici ed in mezzo a loro, contravvenendo in questo modo alla regola benedettina.

In seguito, attorno al 1570, per un'operazione di permuta effettuata da papa Pio V, ciò che restava dell'abbazia e soprattutto il suo cospicuo patrimonio fondiario vennero dati in commenda alla famiglia fiorentina dei Pazzi che ne conservò la proprietà fino all'inizio del Novecento; nel 1922 il tutto venne venduto alla famiglia Lombardi di Iano i cui discendenti conservano ancor oggi la proprietà.

Alla fine del Seicento è documentata diroccata anche la chiesa. Uno scavo del 1696 ne mise in luce il pavimento (che si è trovato fatto di smalto di mattone pesto); dalla relazione risulta che era a pianta rettangolare, con abside semicircolare, secondo il modello delle chiese monastiche vallombrosane.

Oggi dell'abbazia non resta che qualche rudere, all'interno di una vasta area boscata, la foresta dell'Acquerino, ricostituita in questo secolo dalla Forestale, un bosco che ricorda la situazione della zona nei secoli del Medioevo. Alcuni sassi in opus quadratum sono stati reimpiegati nella costruzione di una casa e di una cappella, mentre nel muro a monte sono stati fortunatamente murati alcuni particolari in pietra fra cui due parti superiori di due monofore appartenenti alla chiesa ed il resto di un fregio.

Le planimetrie dell'abside e della navata sono ricavate dalle fondamenta che ancora rimangono. I resti dei muri sono a tratti in opus quadratum, ma probabilmente sono stati ricostruiti in data successiva usando le pietre squadrate recuperate dalla chiesa originaria. Non ci sono testimonianze di navate laterali e perciò si è supposto che anche questo monastero fosse, come quello di Santa Maria di Montepiano, ad una sola navata. Nel 1696 è documentato uno scavo che cominciò probabilmente dalla facciata "dalla parte di Pistoia". Risultò che dalla soglia era necessario scendere tre gradini per entrare nella chiesa. L'aula era di forma rettangolare con abside semicircolare attestata anche da scavi recenti, e doveva misurare circa 24,30 metri per 7,36.

Non restano tracce del resto del complesso monastico ma E. Gibbon nell'opera Decline and Fall of the Roman Empire, Londra 1781, ci fornisce un'accurata descrizione di un monastero tipico del tempo Le loro prime celle erano basse e anguste capanne,fatte coi più vili materiali, le quali formavano, per la regolare disposizione delle strade, un grosso e popoloso villaggio che...conteneva una chiesa, un ospedale, talvolta una biblioteca, alcuni uffici necessari, un giardino e una fontana o serbatoio d'acqua fresca. Sia sparse qua e là che inserite in costruzioni più recenti sono visibili molte delle pietre squadrate appartenute ai muri della chiesa. Fra di esse ve ne sono alcune scolpite che costituiscono una testimonianza della perizia e della cura che venivano impiegate nel costruire una chiesa romanica. Forse le più interessanti da un punto di vista architettonico sono gli architravi delle monofore con i loro archi scolpiti. Ne esiste uno grande (larghezza della finestra 40 cm.) che probabilmente illuminava la navata (come a Santa Maria di Montepiano) ed uno più piccolo con un'apertura strombata. Abbiamo anche una mensola di dimensioni tali da essere appropriato per questo architrave.

Opere di scultura ne esistono davvero pochissime: una mensolina a forma di Tau stilizzato è conservata in buone condizioni e, scolpiti in un frammento di una modanatura, ci sono il posteriore e la coda di un drago o di qualche altro animale fantastico immaginato secondo la mentalità medievale.

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Questi tre disegni di S. Salvatore sono stati copiati da quelli esistenti su antiche cartine della montagna pistoiese. Il primo di essi era stato eseguito da G. Lauro nel 1621, il secondo da G. Filoso nel 1727 e l'ultimo da F. Brancati nel 1762. Tali disegni non erano stati fatti per fornire una accurata descrizione dell'Abbazia, ma piuttosto per posizionare l'immagine della chiesa sulla mappa in modo che essa potesse servire come punto di riferimento. I monaci inoltre, avevano abbandonato la badia verso il 1370 e di conseguenza anche i primi disegni risalgono a circa 250 anni dopo che la chiesa era stata abbandonata. Questi fattori, insieme con le evidenti contraddizioni fra le tre immagini significano che dobbiamo prendere con molta cautela qualsiasi conclusione basata sul disegni alla quale potremmo giungere a proposito della forma architettonica di S. Salvatore.

Ciò nondimeno tutte e tre le immagini evidenziano due caratteristiche comuni e ciò ci potrebbe portare a confidare nella loro veridicità almeno per quanto riguarda tali caratteristiche. La prima, come si può chiaramente dedurre dall'osservazione dei disegni, ci conferma semplice mente che S. Salvatore era una chiesa ad una sola navata con un normale ingresso sulla parte occidentale sormontata da frontone. La seconda caratteristica è più interessante in quanto i disegni mostrano un campanile sul lato nord della chiesa alla sua estremità occidentale. Anche se lavori di scavo potrebbero confermare l'esistenza di tale campanile, oggi non ne resta testimonianza alcuna. Si può comunque ben immaginare l'importanza di un campanile in un posto così isolato come Fontana a Taona: il campanile non solo avrebbe chiamato a raccolta i monaci per le preghiere e sarebbe stato un punto di riferimento per i viandanti, ma avrebbe potuto essere un mezzo per comunicare con S. Bartolomeo di Spedaletto che distava soltanto circa quattro chilometri.

Abitato Medievale di Glozano (*)

UNA PROBABILE CAPPELLA SCOMPARSA

Sulla strada che conduce da Cascina di Spedaletto a Fontana Taona attraverso il Ponte a Rigoli si trovano i resti di un piccolo insediamento. A monte della strada vi sono coltivi a terrazza e vicino ad una sorgente sono visibili le sagome di muri ed alcuni mucchi di pietre. Molte di queste sono lavorate e, cosa degna di nota, ci sono due conci che sono chiaramente resti di una costruzione religiosa romanica: uno era la sommità di una monofora, l'altro era probabilmente la parte superiore di una porta.

rigoli Ulteriore testimonianza che questo fosse un insediamento medievale è offerta dalla presenza in superficie di frammenti di ceramiche medievali. Data la quantità di pietre lavorate sparse nel luogo sembrerebbe probabile che un tempo esistesse lì una cappella romanica forse circondata da ricoveri per pellegrini ed altri viandanti, un luogo nei dintorni del monastero ma non nelle sue immediate vicinanze. Zagnoni nota che L'obbligo di adibire una parte del monastero all'ospitalità è già contenuto nella regola benedettina e questo precetto (l'ospitalità era un comando evangelico), soprattutto ad iniziare dal secolo XI verrà interpretato in modo più ampio anche con la costruzione di ospitali al di fuori dell'ambito monastico.

Magno e Millemaci notano: L'abitato appare composto da almeno quattro edifici, dei quali si conservano i resti delle strutture costruite in opera a secco con pietre di arenaria di varia pezzatura. Il sopralluogo ha consentito di recuperare numerosi frammenti di ceramica e permette di inquadrare cronologicamente l'abitato tra il X e l'XI secolo. La datazione risulta così coincidente con la prima attestazione relativa alla vicina abbazia di San Salvatore a Fontana Taona (inizio dell'XI secolo).

(*) vedi anche l'articolo riportato nella sezione "I sedimenti della storia" di questo sito