Le Logge e l'Affresco del Millenario di Pavana

Ultima modifica 7 maggio 2021

Affresco del Millenario alle Logge di Pavana

di Paolo Maiani

affresco

Parte sinistra
- Consegna del diploma di Ottone III al Vescovo
di Pistoia Antonino.
- Cino da Pistoia e Selvaggia Vergiolesi con sullo sfondo
il Castello della Sambuca

Parte destra
- Il Pontaccio sul Limentra di Sambuca: in primo piano personaggi ed arnesi della vita di Pàvana.
- Francesco Guccini con il bacino di Pàvana sullo sfondo.

misure superfici dipinte: m 5,80x2,40 (3,60 nelle lunette) - superficie totale parete: m 11x3,60

gli scritti che seguono: Maiani a Pàvana - Pàvana: mille anni di storia - Il prete e il pittore - Pàvana era là, Pàvana esisteva; sono tratti dalla pubblicazione Affresco del Millenario alle Logge di Pàvana di Paolo Maiani (v. Bibliografia)

da: Maiani a Pàvana
di Ariela Caruso
maiani Tutto è iniziato con una piccola frase, buttata lì quasi per caso, di Francesco Guccini: "lo sapete che Pavana nel '98 compirà mille anni?". Ci siamo guardati quasi non rendendoci conto di cosa Francesco parlasse. Poi si è fatto chiaro il significato. Si trattava di una cosa veramente importante per il nostro paese.

Era il 1994, fu allora che sorse il comitato per i mille anni di Pavana, il cui presidente non poteva che essere Francesco. Formato da rappresentanti della Pro Loco e della rivista culturale Nuèter, si promise fin dall'inizio non solo l'organizzazione di una serie di manifestazioni di carattere culturale (come le piccole conferenze da noi chiamate "incontri Pavanesi") ma soprattutto creare qualche cosa che rimanesse tangibile a testimonianza di questo avvenimento.

Poi un giorno si è presentato un signore: era Paolo Maiani. A noi, digiuni in materia di arte, era assolutamente sconosciuto. Documentandoci però sui suoi lavori ci siamo resi conto del valore e delle qualità artistiche di questo pittore. Questo signore leggendo "Croniche epafaniche" di Francesco Guccini, era rimasto colpito da Pàvana e dai personaggi descritti nel libro. Venuto a conoscenza del millennio, si è, semplicemente, offerto di eseguire un affresco.
La cosa ci sembrò veramente eccezionale. Pàvana, questo piccolo paesino, sconosciuto ai più, avrebbe potuto vantare il possesso di un'opera che in molti ci avrebbero sicuramente invidiato.
E' stato molto bello vedere nascere e via via crescere l'affresco e contemporaneamente scoprire l'abilità e l'umanità di questo artista.

 

Pavana: mille anni di storia
di Francesco Guccini
guccini Un'altra occasione per parlare di Pàvana? sembra di sì, anche se mi pare di averne già parlato in lungo e in largo, di sopra e di sotto, tanto che certi miei amici, se il discorso cade sull'argomento, bofonchiano, si girano imbarazzati, cambiano discorso o hanno improvvisi inderogabili impegni da qualche altra parte.
Eppure eccomi qua, forse a corto di argomenti, sicuro, come si dice d'avere già raschiato il barile. Conscio, però che di Pàvana bisogna parlare, se non altro per un senso di dovere-piacere nei confronti di tutti quelli che ci hanno preceduto, che come noi sono stati in questi luoghi, hanno visto lo stesso fiume, hanno camminato per gli stessi boschi. I nomi, tanti, ognuno ha i suoi e ce li metta, ognuno ha i suoi ricordi e li tiri fuori.

Ecco, i ricordi: ma non solo quelli. Perchè Pàvana, se Dio vuole, ha anche un futuro, e forse proprio per questo, al di là dei ricordi e del passato, che noi conosciamo.
Pàvana ha mille anni. Speriamo, tra altri mille, che qualcuno si ricordi di noi e che un altro Maiani dipinga un affresco per persone che noi, non conosceremo mai, ma che, in qualche modo, da noi derivano.

Il nome Pàvana appare per la prima volta in un documento storico nel lontanissimo 25 febbraio 998. In quella data un diploma dell'imperatore Ottone III in favore del Vescovo Antonio conferma (se quindi conferma la località era certamente conosciuta da prima) alla mensa Vescovile di Pistoia tutte le cose e le proprietà che gli appartengono, tra le altre la seconda del'elenco si riferiva a "Villam de Pavano". Ma l'origine dell'insediamento è molto più antica: quasi certamente Pàavana (in dialetto Pavna) è toponismo etrusco, PAPNA, movente dal personale etrusco PAPA (al quale fa riscontro il personale latino PABA), più in ben noto suffisso di derivazione/proprietà -NA che ritroviamo in tanti polionimi etruschi (Fèlsina, Mùtina, ecc..). Il nome quindi indicherebbe un possesso fondiario. Non stupisca questo risalire indietro nel tempo. Pàvana, infatti, è situata in una condizione geografica molto particolare: è posta alla fine della vallata della Limentra di Sambuca, alla confluenza di questo fiume con il Reno, la dove i più alti contrafforti appenninici discendono montandosi in colline soleggiate ben adatte alla coltivazione. E' un posto quindi che si presta agli insediamenti e punto di passaggio obbligato per chi dall'Etruria voleva spostarsi attraverso le suddette vallate in direzione della pianura padana, dove a pochi chilometri sorgevano Misa e Felsina.
Il luogo poteva anche costituire un utile avamposto a difesa del valico appenninico situato a circa 15 Km più a sud. E' facile quindi ipotizzare che sia etruschi che romani siano passati da questo paese e che qualche piccola colonia vi si sia fermata, anche se mancano, purtroppo, ritrovamenti archeologici a confortare questa tesi. Rimane a sola prova il nome del paese, ma la toponomastica è pur sempre una forma di archeologia.
La particolare posizione geografica rende Pàvana ben presente e documentatissima nei primi secoli dopo il mille: la località è contesa aspramente fra bolognesi e pistoiesi e Pàvana che cerca sempre di appoggiare i primi lo fa manifestando un forte spirito di indipendenza dalla tutela pistoiese e dai cugini rivali di Sambuca. Significativo è il fatto che nello "Statutum" del 1291 il nome Pàvana appaia, solo nell'intestazione assieme a quello di Sambuca. Il nome di Pàvana appare ancora molte volte e in diverse vicende nel corso dei secoli: in ultimo nel 1847 si costruisce nel suo territorio la nuova Dogana fra il Gran Ducato di Toscana e lo Stato della Chiesa sulla appena costruita Via Leopolda oggi Porrettana. Di lì a pochi anni ci sarà l'unità d'Italia. In precedenza però un altro esempio del senso di comunità del popolo pavanese è dato nel 1731 quando per ordine di Prospero Lambertini, il futuro Benedetto XIV, la chiesa di Pàvana diventa parrocchiale e nel 1761 è terminata e consacrata.

 

Il prete e il pittore
di Nicola Giuntoli
logge Spirito bizzarro, con sufficiente ingegno e poco giudizio(1) Don Lorenzo Magnanelli volle salutare la costruzione della via regia Leopolda, aperta al traffico 1l 1 settembre 1847, volgendo verso di essa la casa famiglia, in precedenza affacciata sulla strada per Pàvana di Sotto, a Cà dei Filippi.

Dopo la turbolenta avventura del maggio 1848, che lo vide ferito sul campo di Montanara nel giorno della disfatta dei volontari toscani, il parroco di Badi, indirizzò i propri ardori patriottici verso imprese più costruttive.
Aveva del resto animo generoso ed anche benefico, e trovarsi nella sua canonica la più cordiale ospitalità. Non era privo di letteraria cultura e di facilità di verseggiare (2).
L'amore per la propria terra lo aveva condotto ad acquistare, nel 1834, i ruderi dell'antica rocca di Sambuca che, quattro decenni dopo, decise di donare all'abate Giuseppe Tigri. Ritenne, infatti, che il professore pistoiese, che fu anche Provveditore agli Studi e direttore della biblioteca Forteguerriana, avesse maggiori possibilità per valorizzare quei resti dell'antica gloria del castello sambucano.
Questa decisione maturò in lui dopo che il Tigri scrizze il romanzo storico "Selvaggia dei Vergiolesi", nel quale narrava la vicenda della figlia del capitano dei vinti ghibellini pistoiesi, messer Filippo, venuta a morire alla rocca di Sambuca, al seguito del padre. Donna amata da Cino Sighibuldi, fraterno amico di Dante, fu compianta dal poeta pistoiese con versi dolcissimi nel sonetto I' fui 'n su l'alto sul beato monte..
Ma l'attaccamento al proprio paese spinse Don Lorenzo ad arricchirlo anche nel proprio tempo, edificando ai margini del più tangibile segno della modernità, la via Porrettana, un edificio che lo caratterizzasse agli occhi dei viaggiatori.
Nel 1849 la casa delle Logge, costruita sopraelevando il più antico nucleo che inglobava una cappella settecentesca dedicata a San Frediano, offrì ai passanti l'accogliente portico, che allora fu teatro di commerci, ricovero di viandanti infreddoliti o accaldati, ritrovo di furtivi convegni d'amore, salotto per chiacchiere d'amore. Per dare più slancio a questo singolare segnale indicatore lungo la strada, Don Magnanelli pensò bene di dotare il compatto edificio di una torretta, metà colombaia e metà campanile.
Infine, completò l'opera rivelando ciò che l'aveva spinto alla strana impresa (per un prete), ideata personalmente senza ricorrere a un progettista, dedicata alle passioni della sua vita: AMBIZION DISEGNO'. CAPRICCIO FECE - A DIO ALLA PATRIA AGLI AMICI - ARCHITETTI TIRATE DI LUNGO.
Oggi Paolo Maiani, pittore pisano nato da madre bolognese e padre pistoiese, è venuto a completare con le immagini il programma fatto scolpire dal curato nella cornice di pietra che sovrasta gli archi del portico, sui tre lati della casa.
L'ha fatto per celebrare i mille anni, storicamente documentati, della terra di Don Lorenzo, il quale sarebbe certamente felice di offrire le mura del suo edificio per un simile evento. O forse il bizzarro parroco di Badi aveva previsto tutto ?
Infatti, il racconto ideato da Maiani si apre, a sinistra con la scena in cui Ottone III, imperatore del Sacro Romano Impero, porge al vescovo Antonino il diploma con il quale conferma, il 25 febbraio 998, i diritti della chiesa pistoiese sui vari beni fondiari: fra questi la villam de Pavano.
A DIO ?
Il niveo candore sulle cime dei monti si tramuta nei teneri verdi primaverili ed ecco messer Cino, avvolto nello spirito di Selvaggia, che avanza verso la rocca della Sambuca, declamando versi dolenti in memoria dell'immorosata. Poi il paesaggio si fa lussureggiante intorno alle sponde del Limentra che scorre sotto le arcate del Pontaccio e muove attraverso i ritrecini le pale dei mulini, narrando anche, col rumoreggiar dei flutti, storie di santi e vicende di guerra e di dominio fissate nel sasso.
ALLA PATRIA ?
La scena si anima di figure che parlano al cuore e alla memoria dei pavanesi, alimentano i racconti e i miti paesani: su tette domina l'immagine seduta sul sarto Nativi, curvo sul panno che gli avvolge le ginocchia; in lontananza Poldo si aggira fra le tombe, informando i morti degli ultimi avvenimenti, e Almina la Paiara si lancia in un ballo spiritato.
Mentre il cielo si arrossa e le fronde declinano verso il bruno ossidato dell'autunno, Francesco (Guccini) dismessi i panni dell'uomo di spettacolo, pavanese fra i pavanesi, sbuca dal sipario ammiccando ai più lontani eventi e alla cronaca più recente, alla Storia e alle storie rivangate e condivise nelle veglie e negli incontri conviviali.
AGLI AMICI ?
Paolo Maiani scandisce le immagini del racconto secondo la struttura del muro del portico, ritornato ad essere una piazzetta coperta ove incontrarsi e fermarsi a discutere o conversare, con ciò restituendo la pittura alla sua antica (ma ancora attuale) funzione civica, fuori dalle stanze private in cui l'ha relegata il danaro; la sua arte si fonde, dopo centocinquant'anni, con l'architettura di un prete.
ARCHITETTI TIRATE DI LUNGO!
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(1) Giambattista Comelli, Bargi e la Val Limentra, Bologna 1917, pag. 157 - (2) G. Comelli, ibidem, pag. 166

 

Pàvana era là, Pàvana esisteva...
di Paolo Maiani
affresco ..... e l'accarezzare la parete per le ultime velature, è come un passaggio obbligato, un tempo che sta per finire per qualcosa che si comincia a vivere...

Pensavo che queste riflessioni fossero le ultime dedicate al lavoro di Pàvana per ricordare i suoi mille anni; riflessioni parlate, non scritte; rivolte agli amici che hanno condiviso con me la nascita e la crescita di queste immagini. In fin dei conti cos'altro può aggiungere un pittore a quanto ha già raffigurato sotto quelle volte, dopo quasi due anni di lavoro? Dopo che gli altri hanno contribuito a lasciare un loro pensiero, esprimendo significati storici, religiosi storici e culturali, non solo sull'opera, ma anche sulla storia e sul "mondo" pavanese.

Non vorrei sciupare tutto questo, non vorrei rovinare questa raccolta di pensieri dietro ai quali si cela stima e amicizia reciproca, nata sotto quelle Logge in un luogo al confine fra il bolognese e il pistoiese, fra l'Emilia e la Toscana.

 

logge

Già... forse però.., almeno questo potrei dirlo: la coincidenza (?) straordinaria per me (nato da madre bolognese e padre pistoiese) di lasciare un'opera proprio lì, "al confine". Dove sono ritornato a sentire antichi (per me) vocaboli, propri del linguaggio di mia madre e che avevo quasi dimenticato, sin da quell'autunno del '96, in cui con l'allora appena conosciuto amico Piero Balletti ho reso palpabili luoghi e persone conosciute nelle "Croniche" di Francesco Guccini. E fu a quel punto che un piccolo microcosmo si aprì, si rese più reale; capii che l'avventura iniziata non era solo un fatto pittorico, ma prendeva risvolti umani e personali.

Forse potrei... anzi, dovrei dire anche questo. Un microcosmo intriso di umana comunicativa, fatto di professori di matematica, studiosi di piante e fiori; architetti col pallino del recupero di antiche linee e forme; antichi pastori che trasudano amore per la propria terra con la conoscenza millimetrica di ogni piega (monti compresi); cantautori (così comunemente conosciuti) tanto intrisi di storia e cultura ambientale da farti dimenticare (o quasi) trent'anni o più di... canzoni.

Ma questo è un lavoro che dovrebbe farti riflettere, portarti a pensare, anche quando sei in solitudine davanti alla parete, e quindi, quasi inevitabilmente, ti accorgi che... Pàvana, Limentra, i boschi dell'Appennino, gli ambienti atipici di queste zone, sono stati e sono anche il canto di Guccini; che certe vallate e certi monti sono stati e sono la vita per Franco Casari; certe immagini e certe tradizioni sono linfa vitale per Renzo Zagnoni, come per Piero Balletti lo sono la flora e vegetazione; così come per Nicola Giuntoli, architetto che in una recente pubblicazione ebbe a dire: ..... il paesaggio occorre costruirlo dentro, poco a poco, per poterlo riconoscere nei valori oggettivi, come si ritrova un vero amico, ogni volta con la stessa gioia".

Era il '97 quando Giuntoli scrisse questo pensiero. Non avrebbe probabilmente mai immaginato che un pittore se ne sarebbe (non so se degnamente) appropriato, in quanto riferimento portante e importante del mio lavoro. Parlando con lui, trovai una certa comunione di idee quando, riguardo ad un affresco eseguito in Veneto a soggetto religioso, ebbi a dire che "quel lavoro non doveva lasciare traccia... (leggi critici, esperti e soloni dell'arte, galleristi)... se non dentro me stesso.

A Pàvana credo si sia ripetuta un po' la stessa cosa. E rifacendomi alle parole di Giuntoli è più naturale per me pensare a tutta la costruzione di "quel paesaggio scoperto piano, piano; attraverso attrezzi di lavoro e persone; architetture e simboli; colori e forme.

affresco

Attraverso queste sfaccettature, viste e riviste e rivisitate, ho cercato di rendere visibile la storia (con Ottone III e Antonino Vescovo), l'amore e la poesia (con Cino e Selvaggia); lo scorrere della vita (con i suoi paesaggi, le sue stagioni, i suoi attrezzi di lavoro e i suoi personaggi non a caso vicino allo scorrere del Limentra); l'osservare e trasmettere le proprie radici (e Francesco ne è portavoce non solo per quanto riguarda le immagini che lo precedono, ma anche per quello che non è stato possibile per me raffigurare: i rumori, i sapori, i profumi, le luci con le relative ombre, i silenzi della notte...).

Il pittore può essere efficace e bravo quanto vuole, ma certe cose sono solo espressioni ed emozioni della propria presenza. La mia è stata come un attimo di respiro, e di conseguenza quanto ho realizzato verrà letto per quell'attimo, tanto lungo e intenso da lasciarti comunque una grossa... cicatrice. E si cancellano nella memoria le ore e ore degli studi, le giornate interminabili della preparazione dei cartoni, gli orari da stakanovista davanti alla parete.

Dove ho messo le "pile scariche"...? Dove sei stanchezza...?
Via... lontano.., dimenticate e soppiantate dal Pontaccio e il Limentra con i bordi innevati, con i concerti dell'alba, con i caffè di Ugo, la preziosa e costante presenza di Giampaolo in quella "bottega" sotto le volte. Può un pittore desiderare di più?

Quando ho realizzato il ritratto a Mario Luzi, il poeta fiorentino condensò (come al suo solito) il suo commento in: "Finalmente, un ritratto in cui non solo mi ci vedo, ma soprattutto mi ci sento...

Pàvana era là, Pàvana esisteva.
Restava solo... sentirla o almeno cercare...
L'attimo c'è stato con il conseguente, naturale, intenso significato che doveva avere.
Adesso credo valga la pena vedere se si ripeterà (ma si ripeterà...!), quel semplice umano miracolo..." . . .come si ritrova un vero amico, ogni volta con la stessa gioia".
Può un uomo desiderare di più...?